Alla stato dell’arte sono due i percorsi per la Cassa di Risparmio di Rimini.
Ma prima è utile fare il punto sulla situazione attuale della Carim.
Al pari, purtroppo di molte altre banche, anche la Carim deve fare i conti con i crediti deteriorati o NPL che sta per Non Performing Loans. Ma quanti sono i crediti deteriorati nella pancia della Cassa di Risparmio di Rimini?
L’11 novembre 2016 si è chiusa l’ultima ispezione da parte di Banca d’Italia, la terza in sei anni.
Al 30 giugno 2016 la perdita è di 73 milioni di euro. Un risultato “sostanzialmente dovuto – afferma il Presidente Bonfatti – alla svalutazione degli attivi immateriali e agli interventi di maggiore copertura dei crediti deteriorati”.
E’ comunque una perdita notevole se si considera che il 2015 si era chiuso con un meno 37,9 milioni di euro. Gli accantonamenti a copertura dei crediti deteriorati (che non rientreranno più in cassa) sono pari a 86 milioni di euro. Le sofferenze ammontano a 654 milioni di euro, di cui il 61% coperto. La copertura complessiva del credito deteriorato (al lordo radiazioni) si porta al 49,2%, rispetto a un dato di sistema pari al 45,4%.
A fronte di questa situazione finanziaria e con un primo piano di riduzione dei costi di gestione presentato ai sindacati con l’intenzione di ridurre del 13% il costo del lavoro annuo, intervenendo sugli organici e sulla contrattazione di secondo livello e riducendo di 75 unità il numero dei dipendenti, la Cassa di Risparmio è anche impegnata in una soluzione di prospettiva.
Carim, come scritto in un suo comunicato del novembre 2016 ”ha presentato richiesta di intervento allo Schema Volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei depositanti, onde ricevere sostegno alle proprie esigenze di ricapitalizzazione, fornendo a tal fine preliminari elementi di valutazione; il Fondo si porrebbe dunque come potenziale soluzione di ultima istanza, fermi restando la ricerca ed il conseguimento di ipotesi alternative”. Del Fondo fa parte lo stesso Bonfatti, come membro del cda.
Come accennato, si aprono così due percorsi:
- E’ il percorso seguito dalla Cassa di Risparmio di Cesena dove è intervenuto il Fondo Interbancario che ha versato 280 milioni di euro con la sottoscrizione di 560 milioni di azioni ordinarie al valore unitario di 0,50 euro e diventando l’azionista di maggioranza dell’istituto con il 95,3% del capitale sociale. Se Carim seguisse la stessa strada si avrebbe una svalutazione delle azioni dall’attuale valore di circa 3 euro a 70/80 centesimi. Il secondo passo di questa operazione vedrebbe l’intervento di Cariparma che acquisterebbe sia Cesena che Rimini (potrebbe entrare anche Ferrara, allo stato di valore 0). Si ricorda che Cariparma è di proprietà di Credit Agricole (la terza banca francese per capitalizzazione). Questa soluzione salva la Carim, ma con un crollo del valore azionario e soprattutto con logiche aziendali poco legate al territorio. La stessa Fondazione Carim, proprietaria attualmente al 51% della banca, di fatto non avrebbe più voce in capitolo.
- C’è l’interessamento di un fondo finanziario inglese, che sarebbe disposto ad entrare nel capitale sociale della banca con un investimento vicino ai 100 milioni di euro. La condizione che viene chiesta è quella di ridurre drasticamente i crediti deteriorati. In questo caso il fondo interbancario si dovrebbe “limitare” a rilevare gli NPL e non anche ricapitalizzare la Banca. In questa ipotesi le azioni potrebbero avere un valore vicino a € 1,7/1,8 e la Fondazione potrebbe avere una quota nella Carim attorno al 25/30%. Il fondo inglese, almeno in questa fase, sarebbe intenzionato a gestire Carim come banca del territorio senza altre fusioni.
Queste le due ipotesi sul tavolo del CdA della Banca Carim. La Banca d’Italia è costantemente informata degli sviluppi e sicuramente non mancherà di consigliare per la scelta migliore per la Banca, per gli azionisti e per il territorio.