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Quando tutti i partiti cercano “il civico”

Su “Repubblica” di qualche giorno fa si leggeva che il Centrodestra, per le candidature a Sindaco delle grandi città (Torino, Roma, Napoli), ha in mente solo candidati civici. Più o meno la stessa cosa stanno pensando a Rimini.

Ma anche il Centrosinistra non è esente dall’attrazione esercitata dai civici, come dimostrano l’attenzione di Bersani al “civismo” o, per guardare a Rimini, le liste civiche che hanno sostenuto il candidato Sindaco nelle elezioni comunali del 2016.

Perciò si deve tentare di capire il motivo di un interesse così forte e diffuso.

Vedo almeno tre motivi: 1) la crisi di rappresentanza dei partiti tradizionali, incapaci di raggiungere la multiformità delle condizioni materiali, economiche e professionali che caratterizzano l’odierna “società di individui” e le sue articolazioni; 2) una (strumentale?) risposta all’anti-politica che favorisce l’ingresso diretto nelle istituzioni di pezzi di società, allo scopo di contenere le spinte anti-istituzionali; 3) il peso crescente dell’associazionismo, della sussidiarietà e della cittadinanza consapevole, a fronte delle difficoltà del welfare pubblico e come effetto di una crescente domanda proveniente da processi demografici, emarginazione sociale e territoriale, immigrazione, ecc.

Sullo sfondo emerge la crisi dei partiti che non nasce per caso. Una delle cause (occorre dirlo) è la mancata attuazione dell’art.49 della Costituzione con norme che regolino la vita dei partiti e il loro finanziamento in quanto organi di natura costituzionale. Detto altrimenti: se i partiti faticano a incontrare la modernità è anche perché nulla si è fatto per farli crescere come “istituzioni” di interesse pubblico. Come se la risposta migliore all’antipolitica fosse quella di depotenziare la politica!

Sull’argomento ci può aiutare il pensiero di Antonio Gramsci laddove cerca la forza propulsiva della storia non tanto nelle contraddizioni oggettive della sfera economica (come Marx), quanto nella sovrastruttura ideologica della società civile. Fu uno dei primi (dall’isolamento del carcere fascista) a osservare gli effetti derivanti dalle tecniche produttive dell’americanismo, qui incardinò l’idea dell’intellettuale collettivo, cioè del partito produttore di egemonia (direzione culturale) sulla società. Dell’annoso dibattito fra determinismo marxiano e idealismo gramsciano, resta il fatto che Gramsci cercò di capire quanto i processi egemonici, presenti nella società civile, influenzino la struttura produttiva, quella sociale/culturale e il loro evolversi.

Oggi però l’unico produttore di egemonia sembra essere il mercato e nemmeno si parla più del ruolo degli intellettuali nella vita pubblica. Essi si nascondono negli apparati accademici o nelle confortevoli regole del mercato editoriale, né i partiti li vanno a cercare.

Dunque, proprio per la sua importanza nella società avanzata, è utile chiedersi quale sia il percorso del civismo nell’avvicinarsi alle istituzioni. In termini più banali: come le istanze civiche superano il limite del corporativismo? un gruppo può restare “civico” per sempre, anche dopo anni di impegno istituzionale? Oppure se non sia legittimo chiedergli di compiere un passo avanti dal “settoriale” (quello del proprio impegno civile), per farsi carico del “generale” e della sua rappresentanza politica e ideologica? In pratica, farsi partito.

Ancora: possiamo escludere processi degenerativi del civismo lungo il percorso di politicizzazione? Essendo in genere privo di regole definite (come statuti, congressi, gruppi dirigenti eletti), può trovarsi esposto a incursioni opportunistiche dando vita ad ibridi in cui il solidarismo di alcuni si lega con l’avventurismo politico di altri o in cui la democrazia interna ai gruppi viene ceduta a favore di una leadership carismatica.

Detto ciò e per tornare al punto di partenza: se il civismo è davvero portatore di attenzione ai processi in corso nella società, è utile e opportuno che le istituzioni siano animate da suoi esponenti. Purché non si ceda alla caricatura di una “società sana”, contro una “politica malata” (entrambi, purtroppo, hanno problemi, ma sono ancora vivi!).

Giuseppe Chicchi

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