Una volta si diceva dei debosciati che avevano consumato la candela da entrambe le parti. La candela di Diego Armando Maradona, con tutti e due gli stoppini accesi, quello della virtù (calcistica) e quello del vizi (quelli capitali tutti, tranne l’invidia), si è spenta a sessant’anni.
Un’età rispettabile, per l’artista maledetto medio dell’Ottocento, che in genere se ne andava prima dei quaranta, ma non oggi, quando con sessanta primavere non solo puoi ancora lavorare e innamorarti, ma anche imparare cose nuove e divertirti molto di più di quando eri giovane: al dolore per la scomparsa di un campione leggendario che si porta via un pezzetto dell’infanzia e della giovinezza anche di chi non seguiva il calcio si aggiunge l’amarezza per una morte che oggi non si può non definire prematura.
Nessuno ha osato eccepire che Diego non sia stato il più grande calciatore del mondo, con buona pace di Pelé; ma qualcuno, sui giornali e sui social, si è domandato se sia giusto e soprattutto educativo esaltare un personaggio sì geniale e insuperabile come calciatore, ma molto criticabile nella vita privata, o almeno per certi aspetti del suo privato: le amicizie pericolose con i boss della camorra, gli amori irregolari, l’essere stato un partner violento e un padre non ineccepibile.
E soprattutto la droga, di cui fu consumatore accanito fin dalla giovinezza, salvo parentesi. E allora mi sono domandata se additerei Maradona come esempio ai miei figli, o se vorrei un figlio (o una figlia, perché no? Oggi una ragazzina che fa meraviglie col pallone non è più fantascienza) come il Pibe de oro.
E la risposta non è facile. Perché avere un figlio con un talento precoce e gigantesco, in qualunque campo, che sia il calcio, la musica, l’arte o la matematica, per dei genitori è quasi più una sciagura che una fortuna. Non solo perché inevitabilmente l’enfant prodige risucchia tutta l’attenzione degli adulti, rubandola ai fratelli, che vivranno nella sua ombra.
Ma anche perché i suoi familiari, se non possono proteggerlo ben oltre la giovinezza, a un certo punto non possono che restare a guardare come riesce a cavarsela in un mondo di rivali e di avvoltoi, sperare che se la cavi, e in caso contrario andare a raccogliere i pezzi – dei matrimoni finiti, dei patrimoni distrutti, della salute rovinata.
I grandi talenti sono creature fragili dentro, ottimi clienti per guru, pusher e strizzacervelli. Eppure guardando il famoso video in cui Maradona fa il riscaldamento pre partita a ritmo di musica, palleggiando con ogni parte del corpo, capelli compresi, leggero e sorridente come un Mozart del calcio ho pensato: non vorrei avere un figlio così, ma se potessi scegliere cosa essere nella prossima vita, vorrei essere uno così. Uno capace scrivere col pallone una poesia che parla a tutto il mondo.
Lia Celi