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Rimini di nuovo protagonista nel Calendario dei Carabinieri

Rimini ancora protagonista nel calendario dei Carabinieri, che oggi è stato presentato a Roma e in tutte le province italiane. Alla città è stato deidcato il mese di dicembre, mentre viene citata nella prefazione del Comandante Generale dell’Arma. Lo scorso anno a Rimini era stato dedicato il mese di ottobre.

Nel rendere omaggio a Dante Alighieri, in occasione dei settecento anni dalla sua morte, viene infatti ricordata nella prefazione a firma del Generale di Corpo d’Armata Giovanni Nistri la figura di Francesca da Rimini, che si innamorò di Paolo Malatesta fino ad essere uccisa insieme all’amante dal marito: un femminicidio ante litteram. Non solo: se di solito è lo scrittore americano Edgar A. Poe a essere ritenuto l’inventore del thriller, il generale ricorda che già 600 anni prima il padre della lingia italiana nelle sue terzine aveva raccontato fatti di “cronaca nera”. Con tanto di “scoop”: Danto fu infatti il primo a raccontare la tragedia di Paolo e Francesca da Rimini, fino ad allora taciuta da tutte le fonti forse su pressione delle potenti famiglie coinvolte, i Malatesta e i Da Polenta di Ravenna.

La prezazione del calendario dove il Generale Nistri cita Francesca da Rimini

Fortunatamente nella storia che qui si racconta nel mese di dicembre, poiché a Natale c’è voglia di cose buone, la vicenda dei moderni Paolo e Francesca ha un lieto fine.

E quindi hanno un sapore diverso i versi forse più struggenti e maggiormente conosciuti dell’opera dantesca:

“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui della bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacere sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona”

La storia ambientata a Rimini nel calendario dei Carabinieri:

“Era dicembre, sul lungomare di Rimini erano già state montate le luminarie, oltre trenta chilometri di superficie coperta di luci. Alla Centrale Operativa arriva una chiamata, una voce maschile trafelata: sto provando a chiamare mio padre da diverse ore, ma non risponde, è disabile, fermo in un letto. L’uomo è lontano da Rimini per lavoro, ha un problema alla macchina, sembra disperato. La catena di comando si mette subito in azione, l’intervento è affidato alla nostra pattuglia. Il comandante ci raccomanda di fare in fretta. Il quartiere di Viserba è piuttosto lontano, le strade formicolano di traffico, sono tutti in giro per fare acquisti. Nella nostra pattuglia è sceso quello speciale silenzio, un’allerta interiore che ci tiene concentrati e sospesi: una vita in pericolo, una delle tante, ma per noi in quel momento è l’unica da raggiungere. Suoniamo inutilmente il campanello, dall’interno nessun rumore, usiamo le spalle per buttare giù la porta. Una casa modesta e ordinata, un odore stagnante di sudore e medicinali. Il letto è vuoto, l’uomo è sul pavimento, immobile, il supporto della flebo rovesciato, sanguina dalla testa. Gli prendo una mano, sento il polso vivo, il mio collega si inginocchia accanto a me, gli carezza la schiena, gli sistema il pigiama sollevato su una piaga. Giuseppe siamo qui, ci senti? La testa insanguinata annuisce flebilmente. Lo solleviamo molto lentamente per non procurargli altri traumi. Stai tranquillo Giuseppe, non è niente. Lo stendiamo sul letto. Ecco fatto Giuseppe, tutto a posto. Si vergogna, sembra quasi chiederci scusa con gli occhi. Gli tengo una mano, guardo le vene scure, tribolate. Una mano antica. Sul comò lì davanti, un uomo e una donna giovani nella cornice di un matrimonio lontano. È tua moglie? Che bella coppia. Mi dice che è vedovo da molti anni, gli chiedo qualcosa della sua vita, voglio sentirlo parlare, voglio mantenerlo cosciente in attesa del 118, trema e il respiro è affannato. Ci ha chiamato tuo figlio, ti vuole tanto bene. Giuseppe ci guarda, cerca conferma nei nostri occhi, annuisce commosso. Arriva il soccorso medico, lo lasciamo ai sanitari. Non vorrebbe più lasciarmi la mano. Grazie figlio mio, sussurra. Fatico a staccarmi da quel letto. Da anni non sono più un figlio, mio padre non l’ho visto invecchiare. Era un uomo grande, allegro, se n’è andato quando ero ancora un bambino, gli hanno sparato a un posto di blocco. Ho preso la sua divisa, la sua impronta, ho preso parte del suo cuore, almeno così dicono”.

Il mese di dicembre con il racconto ambientato a Rimini

 

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