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Tahar Ben Jelloun: «La mia patria è un volto»

La mia patria è un volto
un chiarore essenziale
una fontana di sorgente viva

È mano che attende
trepida il crepuscolo
per posarsi sulla mia spalla

È una voce
di singhiozzi e di risa
un sussurro per labbra che tremano

La mia patria non ha altro orizzonte
che trattenuta tenerezza
negli occhi neri
una lacrima di luce
sulle ciglia

È un corpo di tormenti
preziosi
come un fascio di radici
vicino alla terra calda

È poesia
generata dall’assenza
un paese che nasce
sul bordo del tempo e dell’esilio
dopo un sonno profondo
sospeso a un albero
dai fragili rami
agitati nel vento

La mia patria è un incontro
avvenuto su un letto di foglie
una carezza per dire
e uno sguardo per dormire
paese lontano dalle parole
tanto da calpestare il ricordo

Tra le nostre dita
un ruscello
perché il silenzio sia

Il mio viso è di quel cielo ostinato
vuoto
ferito dall’eleganza del rifiuto

La mia caduta il nostro amore
albero dissanguato
sfigurato dalla grazia spezzata
lo stesso dolore
ha afferrato i nostri corpi

Restano quei versi
cordoglio tardivo
per una patria che non ha più volto.

Tahar Ben Jelloun (Fès [Marocco], 1944)

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