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Primo Levi: «Per Adolf Eichmann»

Corre libero il vento per le nostre pianure,
eterno pulsa il mare vivo alle nostre spiagge.

L’uomo feconda la terra, la terra gli dà fiori e frutti:
vive in travaglio e in gioia, spera e teme, procrea dolci figli.

… E tu sei giunto, nostro prezioso nemico,
tu creatura deserta, uomo cerchiato di morte.

Che saprai dire ora, davanti al nostro consesso?
Giurerai per un dio? Quale dio?
Salterai nel sepolcro allegramente?

O ti dorrai, come in ultimo l’uomo operoso si duole,
cui fu la vita breve per l’arte sua troppo lunga,
dell’opera tua trista non compiuta,
dei tredici milioni ancora vivi?

O figlio della morte, non ti auguriamo la morte.
Possa tu vivere a lungo quanto nessuno mai visse:
possa tu vivere insonne cinque milioni di notti,
e visitarti ogni notte la doglia di ognuno che vide
rinserrarsi la porta che tolse la via del ritorno,
intorno a sé farsi buio, l’aria gremirsi di morte.

Primo Levi (Torino, 1919 – 1987)

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