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Referendum, Di Grazia: “Ci sono 945 ragioni per votare Sì al taglio dei parlamentari”

L’avvocato riminese Salvatore ‘Egidio’ Di Grazia sottolinea le ragioni per cui è favorevole al taglio dei parlamentari italiani.

“Ci sono mille ragioni, o se si vuole 945, esattamente il numero dei parlamentari per votare SI alla legge che li riduce a 600, senza essere con ciò tacciati di populismo, di sentimenti anticasta e via dicendo e soprattutto senza essere accusati di attentato alla “Costituzione più bella del mondo”: espressione che ci ricorda l’iperbole cara al Sindaco Gnassi nel magnificare le sue opere più recenti. Vero è che i primi 33 articoli della Costituzione sono il risultato di una mirabile sintesi tra culture diverse, tutte però orientate a riconoscere l’insopprimibile primato della persona umana e dei suoi fondamentali diritti. Non altrettanto si può dire della seconda parte della Costituzione, quella che tratta dell’assetto istituzionale dello Stato e dei suoi organi. A ciò i padri costituenti, soprattutto per ragioni di tempo, non dedicarono l’approfondimento necessario, ragione per cui presero a modello il vecchio stato liberale fondato sul primato del Parlamento. Si trattava di un modello che era già in crisi, basti pensare al fenomeno del trasformismo giolittiano, e soprattutto inadeguato alle nuove istanze emerse dopo la guerra e per questo favorì l’ascesa del fascismo”.

“In sostanza il modello liberale vedeva nel Parlamento il perno, il punto focale dell’attività dello Stato, tanto che il governo, non a caso definito potere esecutivo, aveva, appunto, la limitata funzione di essere il suo braccio operativo. Anche la figura del Presidente della Repubblica era stata mutuata, più che dalla normativa dello Statuto Albertino che riguardava il Re, dal modello del Presidente della Repubblica francese, di cui si diceva che la sua unica funzione era di tagliare nastri e andare a caccia di conigli nel parco di Fontainbleu. Tuttavia, per effetto del fenomeno proprio del diritto costituzionale per cui la prassi diventa fonte normativa la figura del Presidente in Italia è talmente cresciuta da divenire un soggetto politico di primo piano, abissalmente lontano da quel modello di Presidente notaio della Repubblica impersonato dal primo di essi”, continua Di Grazia.

“Per contro il Parlamento è rimasto quello che era stato regolamentato nel testo originario della Costituzione, un organismo elefantiaco, inadeguato ad affrontare le sfide della modernità e della globalizzazione che richiedono interventi agili e tempestivi. Anche un fautore del No, qual è Romano Prodi, riconosce la necessità del taglio, ritenendo che “dal punto di vista funzionale, il numero dei parlamentari sia eccessivo”. Tuttavia si schiera per il No paventando il rischio che si imponga l’idea“che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire le altre, ben più decisive per il futuro del nostro Paese”. Con tutto il rispetto per il personaggio, come è possibile accettare un simile contorto e contraddittorio ragionamento? Dov’è la logica o solo il buon senso? Chi impedisce ai fautori del No di proporre anch’essi riforme dell’assetto istituzionale? E’ evidente che i fautori del no sono carenti di valide motivazioni e ricorrono ad argomentazioni che, se non fossero chiaramente propagandistiche, dovrebbero far dubitare della loro cultura storica e giuridica. Per essi la riduzione dei parlamentari esprimerebbe una sorta di disprezzo del Parlamento, manifestato dal Movimento 5 Stelle. Non è così. A parte il fatto che i grillini sono i più assidui nelle presenze, a differenza di chi difende l’attuale assetto ma risulta assente dall’80 al 99 per cento dei casi, l’esigenza del taglio dei parlamentari è una costante della storia repubblicana.”

“Il filo rosso che unisce la Commissione Bozzi a quella De Mita-Iotti, a quella D’Alema-Berlusconi, fino alla Commissione dei Saggi indetta da Napolitano è la constatazione della debolezza di un Parlamento che si mostra sempre più incapace di elaborare coerenti linee di indirizzo politico e di assumere con tempestività quelle grandi decisioni alle quali, nei diversi ambiti della vita associata, i tempi in cui viviamo ci costringono. Un Parlamento così pletorico è inficiato dalla lentezza, dalla macchinosità del procedimento legislativo, dalla dispersione dell’attività delle camere in una miriade di piccole misure, provvedimenti minimi che servono questa o quella piccola clientela. La prassi politica italiana pretende leggi anche per argomenti di modesta importanza e si determina così un costante affollamento dell’attività parlamentare che rende eccessivamente lenta, quando non oggetto di continui rinvii, la discussione sulle questioni di maggiore rilievo. Personalmente ho fatto tesoro delle riflessioni di un ex deputato ed ex Sindaco del PD, Giuseppe Chicchi il quale nel suo libro La Formazione, nel capitolo significativamente intitolato Il Parlamento: uomini e caporali, scrive: ”…Quando tutti i parlamentari sono al loro posto, l’aula è come un paese di 600 abitanti che si riunisce in assemblea; Allora quel corpo smisurato, reso faticosamente organico dal regolamento interno , fa davvero impressione…Da tempo si parla di una riforma costituzionale che dovrebbe ridurre il numero dei parlamentari, effettivamente ne basterebbero la metà, ma la decisione viene rinviata perché più il Parlamento è vasto ,più è flessibile e può produrre cambi di rotta, scorrerie, agguati compravendite… Quando qualcuno arriva in Parlamento nessuno gli chiede di cosa si è occupato nella vita, se ha qualche specializzazione o qualche competenza da mettere a disposizione. Al massimo ti chiedono cosa preferisci fare. Ciò che conta, e che ti si chiede, è in definitiva solo il tuo voto. Per il resto devi farti largo con proposte iniziative qualche intervento calibrato in Commissione o (il meno possibile)in aula. In aula c’è un livello di intolleranza assai elevato verso gli interventi dei deputati semplici detti anche “peones” si potrebbe prendere a prestito la metafora di Totò che divideva gli esseri umani in uomini e in caporali”.

“Da ultima la questione della rappresentanza politica – conclude l’avvocato -. Diciamo, prima di tutto, che essa non è prerogativa delle sole Camere. Vero è che la loro principale funzione è quella legislativa. Ma oggi la legislazione è di competenza anche delle Regioni e degli organismi sovranazionali, fenomeni che i costituenti non potevano prevedere. Se per rappresentanza si intende il rapporto che intercorre tra eletto ed elettori, vero è che esso è in qualche modo condizionato dal numero dei rappresentanti. Tuttavia, il numero attuale non è scritto nei Dieci Comandamenti: lo dico a quanti sostengono che votare no è un imperativo categorico quasi fosse di fonte divima. Tanto meno era presente nel testo originario della Costituzione. Anzi, nel dibattito preliminare, di numeri ne sono stati fatti a iosa dai costituenti, a dimostrazione che non esiste un criterio oggettivo e tantomeno dogmatico per stabilirlo.  Il numero attuale è stato deciso da una riforma costituzionale del 1963 sulla base della sperimentazione avvenuta nei cinque anni precedenti. Ciò significa che anche oggi si deve pensare, non alla conservazione di un feticcio, ma alla soluzione di un problema che a parole tutti condividono: l’eccessivo numero di parlamentari, che comporta un inutile spreco di lavoro e lungaggini dei procedimenti decisionali quali nessuna moderna democrazia può sopportare”.

“Il rapporto tra eletti ed elettori oggi risente positivamente dello sviluppo dei mezzi di comunicazione che favoriscono la conoscenza dell’attività del deputato e dei problemi personali o di categoria dei suoi elettori anche senza i riti di un tempo. Soprattutto rendono più agevole la reciproca comunicazione con un bacino elettorale assai più ampio. Ciò comporta che, senza volerlo, si stia attuando quel principio sancito dalla Costituzione secondo cui il deputato non rappresenta il territorio in cui è eletto, ma la “nazione in generale”. D’altra parte questa rappresentanza non può essere delegata a una assemblea di yes man, di soldatini del voto. Questa è la situazione attuale, favorita da una elefantiasi del Parlamento che la riduzione del numero dei protagonisti vuole risolvere eliminando quella gran massa amorfa e indistinta, fatta di peones senza carisma pronta a votare a comando che Ruby era la nipote di Mubarak”.

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