Dunque ci siamo. Mancano pochi giorni alla riapertura delle scuole. E definito”il dettaglio” dei trasporti nell’incontro tra governo e regioni di lunedì prossimo, tutto è stato predisposto per l’avvio delle lezioni.
In verità non mancano margini di incertezza su diversi fronti. Dai più rilevanti: distanziamento, organici… Ai più “piccoli”: banchi monouso, sanificazioni…
Non intendo certo aggiungermi al coro dei catastrofisti di professione o di chi persegue interessi che ben poco hanno a che fare con la Scuola… sparando regolarmente sull’Azzolina e sul governo. No, tutt’altro il mio scopo! Dare una mano a chi è in “prima linea”. Ma anche a genitori ad esempio. Che hanno un ruolo essenziale nella complessa partita che si andrà a disputare. Avvalendomi dell’esperienza di ex insegnante.
Eh si, perché loro sarà la responsabilità della misurazione della febbre. O rilevare sintomi sospetti che comportano la scelta di tenere i figli a casa. Per tutto il tempo del decorso. E per tre giorni dalla scomparsa dei sintomi. Previa consultazione del medico di base o del pediatra ovviamente.
Ma soprattutto loro sarà la responsabilità della gestione di un’eventuale quarantena in caso di contagio avvenuto nella classe. Il che comporta un’assenza dal lavoro di 14 giorni. Ben che vada…
Taccio su quel che dovranno fare in caso di positività del figlio… Dirò invece della responsabilità più “subdola”. La più pericolosa. Consentire al figlio di andare su un mezzo pubblico dove il distanziamento é tra i più problematici. E soprattutto non esiste, al momento, la tracciabilità di un eventuale contagio.
Due suggerimenti. Primo: impostare istituto per istituto, classe per classe una robusta campagna di sensibilizzazione verso i genitori. Alcuni presidi già lo stanno facendo inviando lettere personalizzate a casa. Nelle quali si informa come verrà organizzata la vita scolastica alla riapertura. Come verranno affrontate le eventuali criticità. E quale ruolo e responsabilità i genitori saranno chiamati ad assumere.
Benissimo. Temo non basti però. Il dialogo genitori-scuola dovrà rimanere costantemente aperto. Utilizzando i ragazzi come “postini”. Onde garantire una comunicazione continua. E soprattutto i rischi di contagi insiti in riunioni in presenza.
Secondo: dal momento che sto vivendo un’esperienza sul campo avendo tre nipotine in età scolare di tre ordini diversi, pongo una domanda. Come farà quel genitore a starsene così tanto tempo a casa se, come nel caso di mio figlio e di sua moglie, le aziende – giustamente – hanno preteso che consumassero le loro ferie durante il lockdown? Ci penseranno i nonni? Come no! Si prevede di lasciare a casa gli insegnanti “fragili” e affidare i bambini ai nonni? Sarebbe davvero il colmo!!
Come se ne esce? L’unica strada percorribile è quella dei congedi parentali. Da rilasciare previa certificazione medica ovviamente. Non sarebbe una novità. Ma occorre che qualcuno si faccia carico in Parlamento per riattivare questa opportunità nel caso fosse necessario. E/o rifinanziarla se serve.
L’assenza del Ministro al Lavoro in tutti i tavoli attivati fino a questo momento rende legittima questa mia preoccupazione. Se così non fosse, nel senso che questo pericolo non si corre, sarò ben lieto di aver sollevato la questione inutilmente. Basta però che non mi si rassicuri con le stesse motivazioni date ai Presidi circa le loro responsabilità in caso di contenzioso con personale o allievi contagiati da virus nelle loro scuole. O quelle usate per i bonus negli acquisti delle biciclette. E comunque occorre ribadirlo: poiché nel fiume d’inchiostro di linee guida, ordinanze, decreti questa eventuale opportunità è rimasta in ombra.
Concludo mettendo a fuoco un’altra criticità. Su cui dei passi avanti opportunamente sono stati fatti. Ma anche qui occorre farne altri. Mi riferisco al supporto fornito dalle ASL alle scuole nella procedura della gestione dei contagi.
Intanto, dai contenuti di una prima linea guida che affidava ad un solo medico di base, scelto dalla scuola, la responsabilità della gestione dei casi sospetti, si è giunti all’individuazione entro l’ASL di un apposito ufficio di medicina territoriale in supporto alle varie scuole comunali e provinciali. Ovviamente anche a disposizione dei medici di base e dei pediatri nella gestione di casi sospetti o acclarati. Rischio di ripetermi senza dubbio. Ma come fare altrimenti? Temo che non basti…
Parto dalle riflessioni di un noto infettivologo, il prof. Galli del Sacco di Milano in occasione della domanda a lui posta in un’intervista del quotidiano Avvenire il 26 luglio riguardante il punto debole del nostro Paese in campo sanitario: “La medicina territoriale. Si è disinvestito per anni. Invece è la medicina territoriale che garantisce la capacità vaccinale e che fa prevenzione. E poi la medicina scolastica. Smantellata. Le pare sia stato intelligente cancellare questo servizio?”
Mi mancano competenze e anche conoscenze in questo settore. Ma questo non mi impedisce di intuire che quello della medicina territoriale sia stato sacrificato sull’altare del contenimento delle spesa in questi anni. Nel tentativo di far quadrare i conti dei nostri bilanci deficitari. Così come accaduto nella Scuola, del resto. E immagino che c’entri anche il puntare sull’eccellenza ospedaliera nel “riparare i danni a valle”. Ovvero di curare anziché prevenire. Perché, immagino, nella mente che ha partorito questa filosofia ci fosse la convinzione di risparmiare.
Dunque, anche in questo campo si materializzerebbe il caso della “provvida sventura” di manzoniana memoria. Insomma la pandemia potrebbe essere l’occasione di un radicale cambiamento dei servizi essenziali per vivere meglio la nostra vita. E non solo quelli ovviamente.
Ma qui il discorso rischia di divenire molto complesso. Meglio fermarsi e riflettere su ciò che è stato scritto.
Giorgio Grossi