Ancora ripeti per piacere
quella costosissima volta
che ci si dette del tu
mormorandoci nere parole d’amore
nello strazio di non essercele confessate prima.
E tu le intendevi con le palpebre pesanti,
intrecciando alle mie le tue gambe,
e s’aprirono come sabbia le mani,
lente scivolando dove, ad imbuto,
al trotto e ammiccando, di cuoio
blu come fegato, tra il pelo scintillante,
fecero boccuccia le labbra increspate;
quindi capezzoli funghi scattarono
e “per piacere, piano, pericolo, scappa”,
mi sussurrasti,
insieme ad altri tranquilli pensieri.
Carlo Villa (Roma, 1931)