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Camillo Sbarbaro: «Esco dalla lussuria»

Esco dalla lussuria.
M’incammino
per lastrici sonori nella notte.
Non ho rimorso o turbamento. Sono
solo tranquillo immensamente.
Pure
qualche cosa è cambiato in me, qualcosa
fuori di me.
Ché la città mi pare
sia fatta immensamente vasta e vuota,
una città di pietra che nessuno
abiti, dove la Necessità
sola conduca i carri e suoni l’ore.

A queste vie simmetriche e deserte
a queste case mute sono simile.
Partecipo alla loro indifferenza,
alla loro immobilità.

Mi pare
d’esser sordo ed opaco come loro,
d’esser fatto di pietra come loro.

Ché il mio padre e la mia sorella sono
lontani, come morti da tanti anni,
come sepolti già nella memoria.
Il nome dell’amico è un nome vano.

Tra me ed essi s’è interposto il mio
peccato come immobile macigno.

E se sapessi che il mio padre è morto,
al qual pensando mi piangeva il cuore
di essere lontano ora che i giorni
della vita comune son contati,
se mi dicesser che mio padre è morto,
sento bene che adesso non potrei piangere.

Son come posto fuori della vita,
una macchina io stesso che obbedisce,
come il carro e la strada necessario.

Ma non riesco a dolermene.

Cammino
per lastrici sonori nella notte.

Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, 1888 – 1967)

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