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Stefano Piccioli racconta Leonardo Benevolo

La redazione di Chiamamicitta ha chiesto all’architetto Stefano Piccioli, studente, estimatore e collobarotore di Benevolo di darci una testimonianza di ciò che ha lasciato all’urbanistica italiana.

Ringrazio Chiamamicitta.it per avermi chiesto questa testimonianza su Leonardo Benevolo.

Mi sembra molto opportuno che a Rimini ci si ricordi di Lui in modo particolare: perchè fu l’ultimo urbanista a redigere il Piano Regolatore della nostra Città, di cui fu un grande estimatore.

Infatti come storico dell’urbanistica considerava Rimini una città storica importante; e al tempo stesso, come cittadino italiano, era affascinato da quella particolare energia che a suo giudizio caratterizzava i suoi abitanti: in equilibrio tra la tumultuosa capacità imprenditoriale, l’apertura verso il mondo intero, ed il piacere di salvaguardare i valori della tradizione, senza incorrere nelle meschinità del provincialismo.

Ricordo l’entusiasmo con cui mi comunicò che l’Amministrazione di Rimini gli aveva proposto di incaricarlo per il PRG, cui si era riservato di accettare solo se io avessi potuto collaborare (se non hai in corso conflitti d’interesse, mi disse) perché da trecento chilometri di distanza non avrebbe potuto operare, senza una presenza fidata sul posto. Ne fui onorato (del resto stavamo già collaborando in altri Comuni) e così cominciò la sua avventura riminese. Che purtroppo si concluse come lui non avrebbe voluto: infatti considerava sbagliato l’atteggiamento degli urbanisti italiani della sua generazione – anche dei grandi, come Giovanni Astengo – sempre pronti a lamentarsi dei continui fallimenti della disciplina urbanistica nel nostro Paese.

Lui stesso critica questo “vezzo” negativo e pessimista degli urbanisti nel suo ultimo libro (2012) intitolato, ahimè, “Il tracollo dell’urbanistica italiana”: a riprova che ormai anche lui era stato travolto dalla sfiducia.

Benevolo1

Quasi per una sorta di nemesi storica il “PRG Benevolo” – manomesso e variato sempre in peggio – sopravvisse per oltre venti anni, perché le Amministrazioni che succedettero a quella che lo aveva incaricato non seppero o non vollero dotarsi di un nuovo Piano: anzi preferirono mantenere in vita il suo, per utilizzarlo come base per costruirvi sopra le varianti che servivano di volta in volta.

Oggi la situazione della pianificazione territoriale della nostra città è confusa, gestita con strumenti redatti in maniera approssimativa, gestita con iniziative estemporanee, prive di un riferimento culturale unitario che abbia individuato obbiettivi coerenti di medio/lungo periodo: insomma un insieme di scelte che puntano all’immagine di facciata ed al ritorno rapido di consenso.

Mentre al contrario l’insegnamento di Benevolo è basato sulla consapevolezza che l’urbanistica, ossia la gestione fisica della città e del territorio, è una disciplina che si esercita nel lungo periodo. Per questi motivi penso che la sua lezione sarebbe ancora utile anche a Rimini.

Questa lezione, che parte molto da lontano, Benevolo stesso l’ha riassunta in un libro intervista del 2011 a cura di F. Erbani, di nuovo dal titolo disarmante: “La fine della Città”. I suoi studi sull’architettura, sulla città e sul territorio in tutte le epoche – dal neolitico ai nostri giorni – fanno di lui, in apparenza, uno scienziato lontano dalle beghe della quotidianità. Ma purtroppo quelle “beghe” stanno distruggendo, sopratutto in Italia, proprio l’eredità fisica di tutti gli insediamenti umani: ecco allora che lo studioso ha tratto dalla conoscenza dei processi insediativi di tutte le epoche, le regole generali da utilizzare oggi e nel futuro, per salvaguardare quelle eredità, e migliorare la pessima qualità degli insediamenti umani dell’ultimo secolo.

La sua produzione di storico dell’architettura e della città è immensa: dagli insediamenti paleolitici alla città orientale; dalla città Europea a quella coloniale; dalla storia dell’architettura moderna (un testo monumentale sempre aggiornato ed ampliato nel corso di 50 anni, tradotto in tutte le lingue europee ed americane, oltre che in giapponese e cinese); alla storia dell’architettura del Rinascimento e alla monumentale storia della città.

Il suo pensiero fu sempre criticato dalla cultura accademica e professionale tradizionale, specialmente in Italia, perché quella cultura, di impostazione idealista o marxista che fosse, non lo poteva accettare: perché imponeva a tutti un’assunzione di responsabilità che era più comodo ignorare nascondendosi dietro l’ineffabilità del pensiero idealista che attribuiva all’architetto solo responsabilità “artistiche”; ed ignorava inoltre le responsabilità dell’urbanistica, considerandola solo una disciplina tecnica per ingegneri e topografi.

Al contrario nel pensiero del cattolico Benevolo, come dice Erbani, “la città è l’oggetto sul quale confluiscono diverse discipline, da quelle più propriamente legate alla struttura fisica a quelle che evidenziano i tessuti culturali e sociali di un organismo urbano”.

Solo tenendo conto di queste caratteristiche del Suo pensiero si può capire la Sua particolare predilizione per Rimini, che Egli considerava esemplare ed affascinante tra le medie città Italiane.

Stefano Piccioli, 6 gennaio 2017

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