“Si alza il grido di aiuto dei commercianti, in particolare di quelli del settore moda che già prima del lockdown forzato pagavano anni di forte crisi dei consumi. L’indagine Confcommercio – recita un comunicato di Giammaria Zanzini, vicepresidente regionale e consigliere nazionale della categoria – sullo stato di salute delle imprese dopo 15 giorni di riapertura, evidenzia che l’82% dei negozi ha rialzato la saracinesca. Clamoroso però il dato sui fatturati, con un crollo fino ad oltre il 70% che equivale, per il 28% delle imprese che hanno riaperto, il rischio di una chiusura definitiva”.
“Con questo quadro c’è in ballo la tenuta sociale, democratica ed economica del Paese – prosegue il referente provinciale di Federmoda-Confcommercio Giammaria Zanzini, vicepresidente regionale e consigliere nazionale della categoria –. Dobbiamo capire che non siamo davanti a una recessione, ma a una vera e propria depressione. Non è una crisi congiunturale, è un cataclisma mondiale e per questo servono cure adeguate. Negli ultimi 8 anni l’Italia ha perso 9 negozi di moda al giorno e l’intero settore perderà fino a 15 miliardi di Euro a causa delle fortissima riduzione dei ricavi.
Per questo come Federmoda-Confcommercio continuiamo a chiedere misure a tutela dei commercianti, a partire da un contributo economico a fondo perduto a copertura di almeno l’80% della spesa corrente, con la possibilità di portare a rendicontazione spese come i canoni d’affitto, le utenze, i tributi locali, le rate dei mutui e dei leasing, le spese per il personale e per la formazione. Insieme a ciò, si chiede di allungare la moratoria degli insoluti bancari in Abi e la sospensione delle segnalazioni alla Centrale Rischi almeno fino a marzo 2021. Il tutto mettendo mano – continua Giammaria Zanzini – a una burocrazia che non ha smesso di asfissiare le imprese nemmeno in questo periodo di emergenza. Inoltre, non è più rimandabile una moratoria fiscale e contributiva fino alla fine del 2020, perché a settembre saranno davvero pochi quelli che riusciranno a saldare le imposte fatte slittare in questi ultimi mesi.
Per quanto riguarda la tutela specifica della filiera, chiediamo una svalutazione del 60% delle merci che giacciono in magazzino attraverso un credito d’imposta, il diritto di reso dell’invenduto nell’ordine del 20%-30% al fornitore o su quota parte degli acquisti già effettuati: le aziende di produzione hanno infatti una capacità di ricollocazione delle rimanenze diverso dal piccolo dettagliante. Fondamentale sarà poi una riorganizzazione totale degli Studi di settore, ora Isa, e il fare rientrare il settore moda all’interno dell’Art. 61 del Decreto Cura Italia, poiché attualmente escluso dalle misure di sostegno.
Questi sono alcuni suggerimenti – conclude Giammaria Zanzini – che speriamo vengano recepiti e quindi adottati dalle Commissioni parlamentari e quindi dal Governo e, non ultimo, gli industriali della moda. Se chiude il piccolo negozio di vicinato, che è l’anello finale che mantiene l’intera catena e l’indotto, la grande industria non potrà mai sostenersi solamente con outlet, grossisti, spacco parallelo ed e-commerce. Se muore il piccolo negozio multibrand salta tutto: dal venditore di tessuti allo stilista, dall’agente di commercio al consulente d’immagine, ai produttori e venditori di macchinari e accessori, fino a fotografi e modelle, sarte, ricamatrici, mercerie… Insomma, un’ecatombe che va assolutamente scongiurata”.
Giammaria Zanzini, Federmoda-Confcommercio