Persino nel vento, sono tutt’uno
con l’alfabeto.
Se potessi fermarmi in cima a un monte,
mi piacerebbe farlo nel nido dell’aquila: Non c’è luce più alta!
Ma una simile gloria incoronata d’oro azzurro infinito
è difficile da visitare: il solitario, lassù, resta solitario,
non può scendere a piedi
perché l’aquila non cammina
né l’uomo vola.
O vetta che somigli all’abisso,
tu, elevata solitudine del monte!
Non dipende affatto da me quel che ero
o che sarò.
È fortuna, e la fortuna non ha nome.
Potremmo chiamarla fabbro dei nostri destini
o postino del cielo
o falegname di culle e bare
o serva degli déi nei miti,
noi che abbiamo scritto testi in loro onore
e ci siamo nascosti dietro l’Olimpo.
Gli affamati vasai ci hanno creduto
ma i sazi signori dell’oro ci hanno creduto bugiardi.
L’immaginazione, per sfortuna dell’autore,
si fa realtà sui palcoscenici.
Dietro le quinte, la questione cambia
la domanda non è più “quando”?
ma “perché? come? chi?”
Chi sono io per dirvi
quel che vi dico?
[…]
Mahmoud Darwish, (Al-Birweh [Alta Galilea], 1941 – Huston [USA], 2008)