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Richiedenti asilo pagati 50 euro al mese per essere sfruttati nei campi. Quattro arresti

Cinquanta euro al mese per raccogliere frutta e verdura o potare gli alberi, lavorando fino a 80 ore alla settimana. Così sono stati trattati, secondo le indagini della squadra mobile di Forlì circa 45 richiedenti asilo, in gran parte pachistani e afghani, sfruttati nei campi da un’organizzazione che li alloggiava in casolari senza acqua calda e con poco cibo e materassi a terra.

Su disposizione del Gip di Forlì la polizia ha eseguito un’ordinanza di custodia in carcere nei confronti di 4 pachistani, nell’ambito di un’operazione contro il ‘caporalato’, con l’ispettorato del lavoro e l’Inail. Gli indagati avrebbero reclutato direttamente i lavoratori, minacciati e intimiditi, accompagnati controllati quotidianamente, oltre che individuato e gestito i committenti.

Si stima che abbiano guadagnato dagli 80 ai 100mila euro, inviati attraverso i canali western union o money gram in Pachistan su conti di persone fittizie. Denunciati anche titolari di aziende agricole romagnole che hanno impiegato gli stranieri.

L’indagine, guidata da Mario Paternoster, dirigente della Squadra Mobile forlivese, ha monitorato l’impiego di questi lavoratori in 6 aziende agricole di Forlì, Castrocaro, in provincia di Forlì, San Clemente e San Giovanni in Marignano, in provincia di Rimini e a Bagnara di Romagna in provincia di Ravenna. Proprio Bagnara era la “base operativa” dei caporali, ed in particolare un casolare agricolo isolato dove venivano ricoverati e isolati i lavoratori sfruttati. Questi percepivano 250 euro al mese a testa, di cui però 200 trattenuti per il vitto e l’alloggio, un alloggio fatiscente costituito da un materasso in terra e servizi sporchi e insufficienti, per esempio neanche la disponibilità dell’acqua calda o cibo a sufficienza. “Trovandosi in un’area lontana dai centri abitati vivevano anche nell’isolamento sociale e finivano per dipendere in tutto e per tutto dai ‘caporali’, anche se avevano bisogno di un pacchetto di sigarette”, spiega Paternoster.

Grazie a due società paravento – definite dagli inquirenti poco più che partita iva su un biglietto da visita – il gruppo dei pachistani prendeva in appalto lavori di raccolta di frutta e verdura e di potatura presso società agricole e coltivatori diretti, con ribassi rispetto al prezzo di mercato di circa il 30-40%, in parte in nero. Dati i bassissimi importi pagati ai lavoratori, gran parte del denaro incassato finiva in Pakistan mediante ‘money transfer’. Gli inquirenti hanno stimato che nei mesi monitorati il caporalato abbia fruttato circa centomila euro.

Oltre ai 4 arresti sono state denunciate 8 persone a piede libero, tutte italiane. Si tratta dei titolari delle attività agricole che si sono avvalsi della manodopera sfruttata e del proprietario del casolare di Bagnara. Gli immigrati – che venivano tenuti sotto scacco non solo con il denaro che dovevano ricevere, ma anche con le minacce nei confronti di quelli che manifestavano la volontà di rivolgersi ai sindacati per far valere i propri diritti – sono stati affidati ai servizi sociali del territorio di Ravenna. All’indagine hanno collaborato le squadre mobili di Ravenna, Rimini, Treviso e Modena.

(ANSA)

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