Avrei voluto scrivere già da tempo qualcosa sul Coronavirus. Ma prima ancora di ciò che vorrei scrivere, sento ora l’esigenza di dover condividere con voi ciò che ho letto. In questa breve premessa, e a conclusione dell’articolo, troverete le osservazioni e i brani che più mi hanno colpito, con l’intento di riaffermare il ruolo di mediazione che proprio al Giornalismo spetta, nonostante la nostra epoca creda illusoriamente di poterne fare a meno. Uno di quegli aspetti sui quali ci potremmo mettere un po’ a ragionare, con calma, chiusi come siamo nelle nostre case, ma al tempo stesso informati su ciò che accade là fuori come non lo siamo stati mai, in nessuna altra crisi mondiale. La scusa di non avere tempo non regge più, adesso: proviamo allora ad andare oltre al sottotitolo, a fare in modo che le parole abbiano il tempo di depositarsi lungo la nostra lettura.
Ho trovato molto interessante, ad esempio, il report I rischi della pandemia sugli equilibri internazionali di Gabriele Iacovino per il Centro Studi Internazionali: uno studio che sottolinea come quella del Covid-19 sia la prima crisi mondiale della storia a non essere stata guidata dagli USA, e come al contempo la Cina, dovendo riabilitare la propria immagine internazionale dopo la malagestione iniziale dell’emergenza, stia ricoprendo ora il ruolo di partner sanitario globale mettendo a disposizione la sua esperienza e le sue risorse. E come, ovviamente, non lo stia facendo soltanto per slancio umanitario: basta fare un attimo attenzione all’ingegnerizzazione politica (questa sì, non quella del Tg Leonardo su cui Salvini e Meloni non hanno perso occasione di speculare) della campagna mediatica “China-friendly” che sta andando in onda sui nostri Tg. Un aspetto di cui forse non realizziamo a pieno la portata, come del resto non la realizzammo nell’immediato dopoguerra riguardo agli aiuti americani, ma che è destinato a influenzare profondamente gli equilibri geopolitici internazionali dei prossimi anni.
Ho letto poi il tanto discusso intervento di Giorgio Agamben, al quale è seguito l’attacco di Paolo Flores d’Arcais, e i successivi chiarimenti del filosofo. Senza entrare nel merito della querelle, faccio notare come Agamben abbia sentito il bisogno di ri-scrivere sullo stesso argomento, e ciò qualcosa dovrà pur significare. Mi limito però a ribadire come lo scambio si sia svolto su due piani diversi, e come sia più facile (ovvero più facilmente condivisibile dai lettori) rivestire il ruolo del direttore di MicroMega, piuttosto che quello del filosofo. Aver comunque creato un acceso dibattito (così raro ai nostri giorni) credo sia la prova solare di come la cultura italiana abbia bisogno di autori come quello dell’Homo sacer, che nel bene o nel male riesce ancora ad innescare la macchina del pensiero. Faccio mie le parole di Giovanni Pizza, che su questa polemica ha già scritto: «Agamben non vuole certo figurare come “negazionista”. Le sue sono una specie di virgolette alte, una manna per il pensiero, perché ci invitano a distinguere la parola e la cosa, la vita umana e i dispositivi storici – culturali, sociali, istituzionali – che puntano ad espropriarla, ingabbiandola. Non è che se dico agli studenti che «la realtà è una costruzione sociale» intendo significare che la realtà sia inesistente! Ciò vale anche per la nozione di “invenzione” dell’epidemia». Se volete invece una lettura filosofica più articolata su questo periodo, vi consiglio il nuovo ebook Virus. Catastrofe e solidarietà del mai banale Slavoj Žižek, che potrete trovare nelle librerie online a pochi Euro, senza dover uscire di casa. Una Lettura senza aggettivi, ma con la L maiuscola, è stata invece senza dubbio quella de L’innominabile attuale di Roberto Calasso, direttore e proprietario di Adelphi oltre che uno dei più arguti intellettuali viventi, che offre una visione di rara lucidità sulla nostra società dal primo dopoguerra agli anni Duemila: perché per poter pensare a ciò che saremo dopo la pandemia, occorre prima comprendere ciò che siamo stati.
Ma veniamo ora a quel poco che io mi sento di dire sul Coronavirus. Ciò che forse ho capito da questo periodo è che c’è un modo abbastanza semplice per capire chi stia strumentalizzando a livello politico (e non solo) la pandemia: basta cioè confrontare quello che i politici affermavano qualche mese fa con ciò che affermano ora, in piena crisi sanitaria. Ebbene, se propongono le stesse identiche cose, significa che stanno strumentalizzando quest’emergenza, ovvero che a loro del virus interessa indirettamente, solo come pretesto per ribadire di nuovo ciò che hanno sempre avanzato. Di fronte a un evento epocale del genere, che ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere oltre a svelare la perversità di alcune nostre scale valoriali, infatti, non si può in nessun modo continuare a ripetere sé stessi.
E chi lo fa, magari senza neppure accorgersene, è perché è rimasto vittima del suo stesso slogan, delle sue stesse cieche convinzioni. Per loro la dimensione del Coronavirus è nient’altro che un nuovo scenario nel quale andare ad applicare la propria formula politica, anzi comunicativa – perché ormai non di politica, ma solo di comunicazione stiamo parlando.
Qualche esempio, tratto sia dalla maggioranza che dall’opposizione, senza entrare nel merito della bontà o meno delle argomentazioni discettate.
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Quali sono stati i primi vagiti di Italia Viva, fondata nel settembre del 2019? “Sblocchiamo i cantieri”; serve uno “shock” per far ripartire l’Italia. Ebbene andatevi a rivedere gli interventi televisivi e parlamentari dei vari Renzi e Boschi, e quali misure propongono per fronteggiare quest’emergenza.
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Quale è stato il cavallo di battaglia della coalizione di Centrodestra nell’ultima campagna elettorale del 2018? La flat tax. Indovinate un po’ cosa hanno proposto di nuovo per risolvere una crisi mai vista prima Salvini, Meloni e Berlusconi? La flat tax.
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Qual è stato l’approccio iniziale del PD all’emergenza? L’hastag #Milanononsiferma di Sala e Zingaretti, che ribadiva ancora una volta la narrazione di una Milano post Expo come smart city inarrestabile e irrimediabilmente liberal, che non può fare a meno di fatturare e sorseggiare spritz sui Navigli. Dopo l’aperitivo di Zingaretti, che nel frattempo ha contratto il virus, sono però almeno arrivare le scuse del sindaco meneghino, che ha ammesso a Che tempo che fa che insistere sul #Milanononsiferma fu un errore.
Di esempi ce ne potrebbero essere molti altri ancora, e anche di positivi, ma penso che ormai avete capito come funziona. Il mio non è un invito a giudicare dall’alto chi in questo momento critico ha delle responsabilità molto gravose: perché è difficile cambiare, molto difficile, e di certo noi non siamo sempre migliori di chi ci rappresenta. Con questo articolo vorrei proporvi semmai di applicare questa semplicissima chiave di lettura anche, e soprattutto, alle persone che vi sono a fianco, con le quali state passando questi giorni difficili. Ma non solo, la potrete poi applicare anche a coloro che frequentavate regolarmente fino a pochi giorni fa, e speriamo possiate rivedere preso: i vostri parenti, i vostri colleghi e datori di lavoro, i vostri amici. E non dovete usarla solo in senso negativo: potrete infatti sorprendervi di alcune piacevoli scoperte, cioè di tutte quelle persone che, in questo periodo di crisi, hanno saputo rimettere in discussione se stesse.
Due sono infine i brani che vi invito ancora ad abitare: il primo è tratto dalle Città invisibili di Italo Calvino.
«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Il secondo è invece il Vangelo (Mc 4,35-41) che Papa Francesco ha deciso di leggere nella storica Benedizione urbi et orbi di ieri sera, e sul quale ha basato la sua omelia.
«In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: “Passiamo all’altra riva”. E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”».
Edoardo Bassetti
(nell’immagine in apertura, Paul Klee: “Angelus Novus” -1920)