Ho riletto, dopo quasi sessant’anni, un grande libro: “Furore” di John Steinbeck. E’ un romanzo del 1939 dedicato all’epopea dei mezzadri del midwest americano che, cacciati negli anni ‘30 dalle loro baracche a causa della meccanizzazione, sciamarono in carovane multicolori verso la California dove erano imprenditori agricoli promettevano lavoro. Era la cinica promessa di chi sapeva che trecentomila braccianti per trentamila contratti stagionali, avrebbero abbassato il costo del lavoro da quaranta centesimi di dollaro a trenta, poi a venti, poi a quindici. La fame, la dura fame, avrebbe definito il costo del lavoro.
John Ford ne trasse un film nel 1940 con un giovanissimo Henry Fonda ma solo le seicento pagine del romanzo rendono in pieno il dramma di quei contadini affamati e delle loro famiglie. Com’è noto, gli Usa uscirono dalla Grande Depressione grazie al New Deal di Roosevelt, politiche keynesiane basate su investimenti pubblici e piena occupazione per aumentare la massa salariale circolante. Ciò non avvenne in assenza di conflitti. Uno di questi mi pare attualissimo, così come raccontato da Steinbeck nel capitolo 21 di Furore.
“Nell’Ovest, si diffuse il panico di fronte al moltiplicarsi degli emigranti sulle strade. Uomini che avevano proprietà temettero per le loro proprietà. Uomini che non avevano mai conosciuto la fame videro gli occhi degli affamati. Uomini che non avevano mai desiderato niente, videro la vampa del desiderio negli occhi degli emigranti. E gli uomini delle città e quelli dei ricchi sobborghi agrari si allearono per difendersi a vicenda; e si convinsero a vicenda che loro erano buoni e che gli invasori erano cattivi, come fa ogni uomo prima di andare a combatterne un altro. Dicevano: quei maledetti Okie (contadini dell’Oklahoma) sono sporchi e ignoranti. Sono maniaci sessuali, sono degenerati. Sono ladri, rubano qualsiasi cosa. Non hanno il senso della proprietà.
E su quest’ultima cosa avevano ragione, perché come può un uomo senza proprietà conoscere l’ansia della proprietà?
E dissero: Sono sporchi, portano malattie, non possiamo farli entrare nelle scuole. Sono stranieri. Ti piacerebbe veder uscire tua sorella con uno di quelli?…..Formarono drappelli, squadre, e li armarono di manici di piccone…Il paese è nostro: Non possiamo lasciare che questi Okie facciano i loro comodi. E gli uomini che venivano armati non possedevano la terra ma pensavano di possederla. E i garzoni che di notte facevano la ronda non possedevano nulla e i piccoli bottegai possedevano solo debiti. Ma anche un debito è qualcosa e anche un salario è qualcosa….
E gli emigranti sciamavano per le contrade, e nei loro occhi c’era la fame, e nei loro occhi c’era il desiderio. Non avevano discorsi, non avevano criteri, non avevano altro che la loro quantità e il loro bisogno. Quando c’era lavoro per un uomo, dieci uomini lottavano per averlo e la loro unica arma era il ribasso di paga. Se quello lavora per trenta centesimi, io ci sto per venticinque…”
“Furore” ebbe vita travagliata, fu accusato di comunismo da destra, fu accusato di populismo dai democratici americani. Tuttavia la potenza del racconto è tale che il romanzo rapidamente si diffuse nel mondo. Ha venduto, fino ad oggi, oltre quindici milioni di copie. L’epopea dei contadini migranti non è più attuale, sono invece attualissimi i meccanismi che produssero la loro miseria e che Steinbeck raccontò lucidamente in questo “classico” della letteratura americana.
Giuseppe Chicchi