Sono impressionato, lo devo confessare. Il libro che Stefano Pivato ha dedicato alla bicicletta,
strumento di svago e di lavoro, simbolo di libertà e modernità, che compie 150 anni, è di una ricchezza informativa straordinaria, sicuramente frutto di anni di ricerche, oltre che di una passione vera che del resto lo ha già portato a scrivere di questo tema perlomeno altre tre volte. Nelle pagine di Pivato troviamo elementi di storia sociale, economica, industriale, culturale, sportiva. Decisamente ha fatto sua l’idea del grande giornalista sportivo Gianni Brera, convinto che «traverso le viti di una bicicletta si può anche scrivere la storia d’Italia».
Attraverso una serie di capitoli Pivato ci racconta, da angoli diversi, l’affermazione della bici nelle società moderne tra fine Ottocento e la Prima Guerra Mondiale. “La bicicletta è una religione che ha i suoi punti di riferimento nella scienza, nella tecnologia e nel progresso, capisaldi del positivismo. E, come ogni culto, essa ha i suoi apostoli: fra questi i fondatori del Touring Club”. Ma fra questi non c’è la Chiesa che, per decenni, ostacolò l’utilizzo della bici da parte dei preti e delle donne.
Bellissimo il siparietto che Pivato dedica alle paure dei ciclisti a cavallo fra Otto e Novecento: i monelli e i cani, contro i quali “alcune riviste suggeriscono senza esitazione di munirsi di una rivoltella”. E nei Ringraziamenti Pivato scrive: “Le ricerche [per questo libro] sono state possibili grazie al finanziamento della Bonelli spa. Una conseguenza non priva di significato visto che i primi fabbricanti di biciclette erano armaioli e le pistole facevano parte del bagaglio dei primi ciclisti per difendersi dai malintenzionati”.
E poi arriva Enrico Toti, che con una sola gamba, diventa un’icona del coraggio militare italiano nel corso della Prima Guerra Mondiale: “La bicicletta diventa immagine di rapidità ed efficienza militare anche grazie ai futuristi”.
Ma nel primo Novecento la bicicletta si dovette scontrare anche con l’ostilità del nascente movimento socialista, dovuto in parte all’avversione verso ogni pratica sportiva. Ma sarà poi il suo utilizzo pratico in occasione degli scioperi, delle agitazioni della Settimana Rossa, che i socialisti si ricredettero su questo mezzo veloce di trasporto.
Negli anni del fascismo “si modifica profondamente il rapporto con la cultura e la pratica delle due ruote”. Inoltre “per la penuria di carburante la bicicletta si impone come indispensabile mezzo di trasporto economico”.
Divenne un mezzo prezioso anche per i partigiani, come testimonia Giovanni Pesce, uno dei protagonisti della Resistenza italiana: “Senza le biciclette i combattenti dei GAP […] non avrebbero potuto esistere […] Senza la bicicletta tutta l’attività clandestina non avrebbe potuto muoversi con quella relativa scioltezza con la quale si muoveva”.
E poi le grandi gare sportive: il Tour nasce in Francia nel 1903, il Giro d’Italia nel 1909. “Nell’immaginario del Ventesimo secolo il campione sportivo viene a sostituire una delle figure più caratteristiche della cultura classica: quella dell’eroe”.
Infine una considerazione sul profondo legame fra la bici e la nostra Regione. Scrive Cesare Zavattini: “Si potrebbe fare un ritratto dell’Emilia, parlando delle biciclette, anche se ce ne sono in tutto il mondo, sembra qui la loro sede naturale”. Gli scrittori emiliano-romagnoli possono vantare il primato dei testi dedicati all’argomento delle due ruote. Ne hanno scritto Alfredo Oriani, Olindo Guerrini (più noto come Lorenzo Stecchetti), Alfredo Panzini, Luigi Graziani, Renato Serra, Marino Moretti, Giorgio Bassani, Corrado Govoni, Giovanni Guareschi, Sergio Zavoli (che è anche il padre televisivo de “Il processo alla tappa”).
A livello politico sarà ancora il pragmatico Palmiro Togliatti a cancellare la vecchia posizione del partito socialista contro lo sport e ad affermare invece che questo è importante “come momento di aggregazione”. “In questa rilettura rimane però rigida la distinzione fra lo sport dilettantistico e quello professionistico con una netta chiusura nei confronti di una concezione divistica e spettacolare dell’agonismo”. E Pivato, a chiusura del volume, torna ancora una volta a raccontare le storie dei due campioni: Fausto Coppi e Gino Bartali, dove sport e vita privata si intrecciano strettamente.
Così Stefano Pivato, fra aneddoti, curiosità, e approfondimenti storici, ricostruendo l’avventura dell’affermazione della bicicletta, ci racconta veramente la storia d’Italia del Novecento.
Il libro sarà presentato a Rimini, in collaborazione fra Biblioteca Gambalunga e Istituto per la Storia della Resistenza, domenica pomeriggio 15 dicembre, alle ore 17,00, presso la Sala della Cineteca alla Biblioteca Gambalunga. Pivato ne parlerà con le direttrici dei due istituti: Oriana Maroni e Patriza Di Luca. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Paolo Zaghini