L’Operazione Hammer sembrava terminata a ottobre con l’esecuzione delle 10 misure cautalari tra Rimini, Latina e Prato. In sette erano finiti in carcere, in tre ai domiciliari. E invece no, i risvolti della vicenda continuano a replicarsi come onde concentriche dopo un sasso tirato nell’acqua.
Tra gli arrestati per la guerra di camorra in Riviera figurava Massimiliano Romaniello, 45 enne, coinvolto nella guerra tra clan scoppiata nel capoluogo romagnolo.
Romaniello stava scontando i domiciliari a Napoli, nella sua abitazione al quartiere Stella, in attesa del processo che lo vede sul banco degli imputati per quanto successo a Rimini con l’aggravante del metodo mafioso.
Nel corso della sua detenzione aveva ottenuto non pochi permessi per motivi sanitari e ne aveva più volte usufruito in particolare per andare dal suo dentista. Malgrado i tanti permessi però, Romaniello non disdegnava il bar di quartiere. E per un motivo ben chiaro: dimostrare a tutti, che lui, boss camorrista, malgrado fosse stato costretto ai domiciliari, poteva permettersi di fare quello che voleva, evadere senza incappare in problemi di sorta.
E invece i Carabinieri di Rimini lo stavano attenzionando come si deve, tanto da raggiungerlo e arrestarlo nuovamente. Al loro arrivo – gli uomini erano gli stessi che lo avevano fermato a inizio ottobre – Romaniello è quasi caduto dalle nuvole. Credeva che la visita fosse dovuta a una notifica che attestasse il suo ritorno in libertà, invece si sbagliava di grosso. I Carabinieri erano li per porre fine alle sue ripetute evasioni di cui anche al telefono andava vantandosi con la moglie. “Io faccio quello che mi pare ed esco quando voglio”, le aveva detto più volte al telefono.
Nei dettagli i militari hanno arrestato Romaniello mentre si stava recando proprio al bar, dopo essere stato da barbiere.
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