Il Premio Nobel per la Medicina è stato conferito questo anno allo scienziato giapponese Yosinori Oshumi per i suoi studi su un tema che a prima vista può sembrare molto astruso: l’autofagia.
Il termine autofagia deriva dalle parole greche auto=se stessi e phagein=mangiare, quindi mangiare se stessi.
Fino ad oggi un problema poco conosciuto al grande pubblico in quanto il rinnovamento cellulare, che è garantito dalla processazione delle cellule e delle proteine vecchie che vengono eliminate per autofagia, è fondamentale per la vita e lo sviluppo dell’organismo umano.
Se questo processo infatti in una qualche parte si intoppa, i rifiuti si accumulano e questi rifiuti sovrabbondanti possono provocare molta parte delle malattie neuro-degenerative che conosciamo, fra le quali l’Alzheimer, il Parkinson e la Corea di Huntington.
Il problema non è di poco conto, in quanto in una popolazione la cui vita media raggiunge gli 80 anni e oltre, l’insorgere di tali patologie legate all’età, con l’accumulo di rifiuti organici, appare tutto nella sua evidenza e abbassa di molto la qualità della vita che è uno degli elementi di valutazione della bontà di campare più a lungo.
Il dott. Yosinori e il suo gruppo, studiando le cellule del lievito in laboratorio, sono riusciti a chiarire come fa la cellula ad eliminare i rifiuti, e soprattutto a comprendere i meccanismi genetici che lo determinano, riconoscendo i circa 15 i geni coinvolti e ha trasferire poi le conoscenze nel modello umano: molti dei geni del lievito sono gli stessi del’uomo. Un processo quindi di grande importanza, che si è conservato durante il processo evolutivo, dal lievito all’uomo, a testimonianza del suo rilievo.
I grandi periodi di carestia dei millenni passati e le infezioni, determinando la necessità di eliminare ‘gli invasori’, hanno indubbiamente rafforzato i meccanismi di questo riutilizzo delle sostanze corporee.
LA RACCOLTA RIFIUTI NELLE CELLULE
Due sono i meccanismi principali di raccolta rifiuti delle cellule.
Il primo interno alla cellula, con un organello interno e composito , conosciuto come Lisozoma.
In piccolo, un termovalorizzatore e un ricilclone. Trasforma infatti le sostanze interne da rinnovare e senescenti in prodotti che vengono utilizzati come ‘benzina’ cellulare (energia, o in termini tecnici ATP) e in prodotti nuovi (amminoacidi, o mattoni della cellula) che vengono riutilizzati per la costruzione delle nuove strutture cellulari.
Il secondo sistema è conosciuto come Macrofagi. Sono le cellule spazzine dell’organismo, girano con il loro ‘furgoncino’ nei vasi e all’interno dei tessuti e si concentrano nei punti in cui si forma un accumulo di detriti, dovuto ad esempio a processi infettivi o traumatici, con un numero più o meno grande di cellule morte, batteri o virus, stavasi ematici da eliminare.
Sono anche essi degli elaboratori e trasformano le sostanze organiche proprie o estranee in energia per l’organismo, nuova sostanze da riutilizzare o in sostanze da eliminare tramite la filtrazione renale, biliare e intestinale.
La mutazione dei geni che regolano la autofagia quindi sono di grande importanza per capire molta parte delle malattie degenerative che ho già citato e che sono dovute, come era già per molta parte conosciuto, ad accumulo di sostanze che l’organismo non riusce a smaltire, la beta-amiloide nell’Alzheimer, di alfa-sinucleina nel Parkinson e di glutammina nell’Huntington.
Naturalmente ho molto semplificato, solo però per fare comprendere i processi.
UN PO’ QUELLO CHE FA HERA
Quella con Hera è una comparazione naturalmente molto arbitraria, ma se dal modello micro passiamo al modello macro, ci accorgiamo che questi processi hanno delle similitudini.
Nel mondo macro siamo ormai giunti alla conclusione che gli obiettivi fondamentali della raccolta rifiuti sono quelli di eliminare le discariche (cioè gli accumuli di rifiuti), di utilizzare invece la termovalorizzazione per produrre energia. Ma questa produzione riguarderà la minor quantità possibile, rispetto alla priorità dei processi di riciclo e di riutilizzazione, consentendo il riuso e il risparmio di materie prime, a partire da quelle non facilmente reperibili e soprattutto esauribili.
Il processo del ‘macro’ ripercorre i processi nel ‘micro’, così come molto spesso ci capita di osservare nell’ambito della fisica.
Ci abbiamo messo molti decenni ad arrivare a queste conclusioni, quando in realtà era già ampiamente scritto in natura.
Alberto Ravaioli