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Camporesi non diffamò Fiera e Palacongressi Rimini, società condannate a risarcirlo

Luigi Camporesi non  diffamò la Fiera e il Palacongressi di Rimini. E’ questa la sentenza del Tribunale di Rimini, che non solo ha negato alle due società il risarcimento che chiedevano (un milione di euro in tutto), ma le ha condannate a pagare 20 mila euro allo stesso Camporesi.

Luigi Camporesi, già consigliere comunale del MoVImento 5 Stelle a Rimini, ne era uscito nel 2015 e l’anno successivo si era candidato a sindaco per Obiettivo Civico (nell’immagine in apertura), mentre i pentastellati decidevano di non presentare una loro lista certificata. Durante quella campagna elettorale Camporesi aveva sparato ad alzo zero sulla conduzione di Rimini Fiera, che aveva annunciato l’intenzione di quotarsi in Borsa.  In una sua lettera agli albergatori, diffusa alla stampa (il quotidiano La Voce) e pubblicata sul proprio profilo Facebook, sostenne l’impossibilità di quell’operazione con argomenti che Fiera e Palacongressi ritennero diffamatori.

Camporesi affermava fra l’altro che il bilancio del Palacongressi era irregolare e che non rispettava “le norme dettate dalla L. 69/2015 sulle false comunicazioni sociali” e asseriva la sussistenza di “un debito bancario del gruppo non sostenibile”.

Inoltre Camporesi scriveva che “per quanto sopra esposto, il management di Rimini Fiera, conformemente alla volontà del Comune di Rimini e in presenza di un debito bancario del gruppo non sostenibile, sembra accettare la volontà bolognese già espressa dalla Regione e da Bologna Fiere. L’attuale amministrazione comunale è costretta, anche per ragioni politiche, a subire la costituzione di Bologna Holding, per cui la gestione dell’indotto economico sul territorio, dipenderà dal potere economico bolognese (Comune e Camera di Commercio di Bologna)”. 

Di qui una prima diffida da parte delle società tramite una lettera inviata dallo Studio Boldrini. Camporesi non aveva mollato anzi rincarato la dose: “Non ho ancora ricevuto repliche nel merito. Ho invece visto con i miei occhi un eclatante operazione utilizzata come copertura, l’accordo con la Fiera di Vicenza”.

A quel punto era partita la querela per diffamazione accompagnata dalla richiesta di danni milionaria da parte delle due società. Ma il giudice del Tribunale di Rimini, dottoressa Chiara Zito, ha dato loro torto su tutta la linea. Come si legge nella sentenza pubblicata il 29 ottobre, la diffamazione non vi fu innanzi tutto perché le sue affermazioni rientravano nel diritto di “critica politica”: “Dato per scontato l’interesse sia dei diretti destinatari della missiva, sia dei cittadini riminesi in generale a conoscere l’opinione di un candidato sindaco su temi aventi sicura rilevanza per lo sviluppo economico del territorio e concernenti la gestione di società partecipate dal Comune mediante la sua controllata Rimini Holding S.p.a., anche il presupposto della continenza formale appare sostanzialmente rispettato, mantenendosi la vis polemica dell’autore congruente con la sfera pubblico-istituzionale dell’operato dei vertici delle società attrici, e non venendo utilizzate frasi offensive traducentisi in “attacchi gratuiti”.

Ma erano vere le affermazioni di Camporesi? Magari non nei dettagli e nelle conclusioni cui arrivava il candidato, ma nella sostanza sì: “Per quanto riguarda la situazione di indebitamento bancario del gruppo Rimini Fiera – si legge nella sentenza – la critica espressa dal Camporesi si fonda su fatti corrispondenti al vero, almeno nel loro nucleo essenziale – come dimostrato dalla necessità della società Rimini Congressi di ricorrere ad un “prestito ponte” da parte della Banca Popolare di Vicenza per il pagamento del mutuo contratto con Unicredit, soggetto a favore del quale era stata concessa in pegno l’intera partecipazione azionaria detenuta in Rimini Fiera S.p.a. – rappresentando invece opinabili, ma legittime, valutazioni da parte dell’autore dello scritto le affermazioni relative alla presunta insostenibilità finanziaria di tali debiti e alla conseguente inattuabilità della quotazione in borsa”.

Almeno un’affermazione di Camporesi poteva però apparire palesemente diffamatoria: quando diceva che “la Società del Palazzo dei Congressi ha presentato per l’esercizio 2014 un bilancio irregolare che non rispetta le norme dettate dalla L. 69/2015 sulle false comunicazioni sociali”. Ma secondo il giudice, “appare dirimente la considerazione che la diffamazione, anche ove ritenuta sussistente, non avrebbe come destinataria la società in questione – che anzi, risulterebbe danneggiata dal reato di false comunicazioni sociali – ma i soggetti autori del bilancio, che nella missiva non sono nemmeno individuati personalmente”.

Conclusione: “Le affermazioni contestate devono essere ritenute, in parte, come legittima espressione del diritto di critica politica da parte del convenuto e, per la parte relativa alla (presunta) configurabilità del reato di false comunicazioni sociali, comunque non lesive dell’onore e della reputazione delle società attrici”.

Qui il testo integrale della sentenza:

sentenza fiera-camporesi

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