Come ormai tutti sanno, quando si deve dare una risposta “istintiva”, veloce, rapida, prima la si pensa nella lingua con cui si nasce, il dialetto, e poi la si dice in italiano. E così che mi sono trovato a pensare, appena Stefano – il gestore di Dinnerinthesky – mi ha invitato a pranzo a oltre 30 metri di altezza.
Manchë së më paà, in ascolano (essendo io originario di Ascoli), gnenca s’im pègha, in romagnolo (traduco per i lettori autoctoni), nemmeno se mi pagano detto in italiano. Per quanto possa essere una bella esperienza… ma chi me lo fa fare di stare a più di trenta metri da terra, sospeso per aria su una piattaforma, a pranzare, imbragato sul seggiolino, per ovvie questioni di sicurezza. Oltretutto se c’è una cosa che odio e non sopporto è la costrizione, la mancanza di libertà… Quando vado ai pranzi (matrimoni, comunioni, ma anche con gli amici, mi metto sempre alla fine della fila o a capotavola dove, in qualsiasi momento, la via di fuga è assicurata e dipende da me, non da altri. Figurarsi di essere imbragati come un pilota di Formula uno, oltretutto sospeso nel cielo… Non ci penso nemmeno!
Vengo dalla terra, sono legato alla terra, con i piedi ancora una volta per terra. “Rurale sempre”, direbbe il mio amico Enrico Santini. Eppure stamattina, di fronte alla insistenze di questo ragazzo – che gestisce il esclusiva per l’Italia l’evento – ho preso la macchina e sono andato a Cattolica. Intanto, per strada, pensavo a qualche scusa se, nel tragitto, ci avessi ripensato. Ho avuto e ho problemi con il volo. L’unico aereo che ho preso è stato quello per andare a Mosca, nel 1976. Vuoto d’aria pauroso e sono tornato in treno. Oltre 40 ore di viaggio, ma ne conservo un meraviglioso ricordo, soprattutto quando a Villa Opicina ho visto, dopo tanti mesi, la prima scritta in italiano e non più in cirillico. Comunque sono arrivato un quarto d’ora prima sul porto, dove è collocata l’enorme gru che solleva la piattaforma dove si pranza, e ho incontrato Stefano e il suo staff. Tutti rigorosamente in divisa d’ordinanza Dinneronthesky.
“Mi raccomando, prima di salire andate tutti in bagno!”, si raccomanda una gentile hostess.
E certo… mica puoi farla dall’alto. C’è una certa difficoltà di movimenti una volta imbragati… e poi… la privacy va a farsi benedire… insomma la si è fatta nella maniera tradizionale. Sono stato il primo a salire e ho avuto il privilegio di scegliere la postazione. Ho scelto l’ultima della fila, pronto a scappare, non si sa mai… Sì, ma dove, da quell’altezza?
Una volta tutti pronti e imbragati, accompagnati da una bella musica d’atmosfera, è iniziata la salita di un paio di minuti, una volta giunti allo stallo. Nemmeno uno scricchiolìo mentre la piattaforma viene alzata e sotto di noi gli uomini diventano sempre più piccoli e i paletti degli ombrelloni sulla spiaggia diventavano come fiammiferi, piccoli piccoli…
“Devo farci l’abitudine, poi passa”, mi sono detto. Ma tutto sommato mi sono sorpreso a trovarmi tranquillo, senza particolari apprensioni. In questo – devo dire – aiutano molto le parole degli altri commensali e quelle dello staff, anch’esso rigorosamente assicurato a cinture di sicurezza e cavi di acciaio. “Mi sembri una paracadutista” ho detto a Silvia, moglie e assistente di Andrea, lo chef. “Gestiamo il Falsariga, ristorante di Morciano e abbiamo preso le ferie per fare questa esperienza”, mi racconterà poi, una volta scesi.
Certo, l’aiuto a “non pensare” (parlo per le mie fobie sull’altezza, tutti gli altri sembravano molto a loro agio) arriva anche dallo spettacolo di cui si può godere. Sotto, alle mie spalle (la poltrona è girevole e si può osservare a 360°, in sicurezza), il porto pieno di piccole imbarcazioni e di qualche grande yacht, più in lontananza il verde di Monte San Bartolo che scende su Gabicce, alla mia sinistra la distesa della sabbia rasata e pronta per colorarsi di ombrelloni. Di fronte tutta la Riviera con i grattacieli di Rimini e più in lontananza di Cesenatico. Più vicino, Portoverde con il suo caratteristico palazzo rotondo.
Ma la cosa più bella che si vede è “la lunga riga blu”, come Tonino Guerra chiamava il mare, che si può godere guardando alla mia destra. Una riga davvero immensa. E oggi di un blu veramente intenso. Boh, sarà l’altezza…
Insomma si comincia cercando di fare attenzione a tutto quanto può cadere. Il tovagliolo ben sotto il piatto. E’ di carta e il vento potrebbe portarlo via. Posate, piatti e bicchieri non hanno problemi. Credo di non aver mai stretto così forte il cellulare per fare le fotografie e d’altra parte non si possono non fare. Farlo cadere da oltre trenta metri non deve essere una gran cosa, né per lui né per chi passa sotto. Quindi stringerlo molto forte… e stare attento.
“Iniziamo con salmone marinato alla rapa rossa con terra di segale, maionese all’arancio, misticanza alla menta e ravanelli e un sardoncino farcito con pecorino del ‘Buon Pastore’ con composta di cipolle rosse e arance”, ci dice Andrea – sempre lo chef – intanto che Federica, la nostra assistente/cameriera, appoggia il piatto davanti a noi. E l’antipasto è andato. “Vino?”… “No grazie, non vorrei mi girasse la testa”. “L’alcool a stomaco vuoto mi fa uno strano effetto”, vorrei aggiungere.
“Normalmente mi denudo e mi metto a ballare sul tavolo. Mi creda non è un grande spettacolo”, continuo invece ridendo spavaldo. “Semmai dopo il primo”, concludo mentre la mia interlocutrice se la ride anche lei.
Poi è la volta del primo: “Fagottino di crespella ai due colori con battuto di gamberi e ricotta su crema di piselli e gocce di pomodoro e basilico”, ci informa ancora Andrea. E’ già un problema. Sempre a Mosca, nel periodo in cui ci sono stato, l’unica verdura che ho potuto mangiare erano i piselli in scatola. Da allora mi dà fastidio la sola vista del legume. Variazione di menù: niente piselli e più pomodoro. Così che il piatto a due colori è diventato monocromo.
Arriviamo al secondo: “Filetto di branzino in falsariga di cartoccio con le patate, olive taggiasche, pendolini e salsa marinara alle vongole”. Devo confessare che – mentre bevevo dell’ottimo Prosecco, tanto sono imbragato e non posso salire sul tavolo! – ho chiesto un altro pezzo di pane e ho fatto scarpetta con la zuppetta di pendolini.
Infine il dolce, una “Delizia alla fragola con gelèe di citronella e un filo di melagrana”. Una “delizia” davvero.
Insomma ho passato, godendo con gli occhi e il palato, una bellissima ora. Ero titubante e incerto, mi sono ricreduto, non ho dovuto inventare nessuna scusa. L’unica cosa che posso dire è che era meglio se portavo una sciarpa. Il venticello lassù, c’è e si sente…
“E’ una figata”, dice Francesco titolare di una gelateria di Riccione, che stava vicino a me. E poi la discesa con una bellissima musica e, soprattutto, solo sorrisi, compreso il mio. Vorrei tornare di sera per vedere lo spettacolo della riviera, illuminata.
Pietroneno Capitani