In quel ristorante di Montescudo la vera vittima è Masamba, il cuoco del Gambia. E il suo datore di lavoro Riccardo Lanzafame fino a poco fa inneggiava a Salvini. Lo scrive Lorenzo Tosa, 35 anni, giornalista e blogger. Già responsabile negli ultimi tre anni della comunicazione del M5S in Liguria, ha lasciato il MoVimento nel novembre scorso “per motivi di coscienza” affermando fra l’altro “Oggi lo possiamo dire: è successo il contrario di quello che diceva Grillo: invece di essere argine al fascismo, il Movimento ha finito per fargli da apripista”.
Nell’occuparsi del caso di Montescudo, Tosa scrive sulla sua pagina Facebook:
Avete presente il caso del ristoratore di Rimini che ha assunto un pizzaiolo del Gambia e poi affisso un cartello nella sua locanda invitando i “razzisti” a non entrare. In poche ore è diventato un paladino dell’integrazione, un simbolo dell’Italia bella, dalla schiena dritta, accogliente. Una storia perfetta. Troppo perfetta.
Così mi sono insospettito e ho cercato di capirne di più, oltre i peana e le dichiarazioni trionfanti. E quello che ho scoperto è che il locandiere non era esattamente un esempio di umanità e di accoglienza. Negli stessi mesi in cui Masamba (questo il nome del ragazzo gambiano) lavorava lì, il ristoratore condivideva su Facebook post degni del peggior hater leghista, contro ogni forma di immigrazione e arrivando addirittura a definire Salvini “il miglior ministro degli ultimi 70 anni.” Due ore dopo l’uscita del mio articolo su Tpi, l’uomo ha cancellato la sua pagina Fb ed è sparito, come fanno tutti i vigliacchi una volta scoperti. Ma intanto in rete restano chilometri di articoli, video, post, tweet che inneggiano a lui, mentre a un’intera comunità, quella di Montescudo, che l’integrazione la mette in pratica ogni giorno per davvero, resterà per sempre l’infamia di quell’etichetta: “razzisti”.
Credete che oggi sui giornaloni dedicheranno anche solo una riga per ristabilire la verità? Credete che racconteranno dei due centri d’accoglienza presenti a Montescudo, in un territorio di pochi chilometri quadrati? Dei locali e ristoranti della zona in cui lavorano cuochi e camerieri di ogni nazionalità e colore, senza che nessuno abbia mai sollevato un sopracciglio?
Ma la vera vittima di questa triste vicenda – e il motivo per cui ho (ri)scritto questa storia – è lui, Masamba: usato, sfruttato, strumentalizzato dal suo datore di lavoro per un po’ di visibilità e qualche coperto in più. Se c’è qualcuno che odio più dei razzisti è chi usa il razzismo per propaganda e fini personali (vi ricorda qualcuno?).
E, se vogliamo davvero combattere questa piaga ormai dilagante nel nostro Paese, noi tutti – cittadini, utenti, professionisti dell’informazione – abbiamo il dovere morale di distinguere la realtà dalla narrazione, la bontà dall’ipocrisia. Altrimenti quando ci ritroveremo di fronte al razzismo, quello vero, correremo il rischio di non riconoscerlo.