Il 5 febbraio le Chiese cattolica e ortodossa commemorano Sant’Agata Vergine e martire (San Giovanni Galermo, 8 settembre 229 / 235 – Catania, 5 febbraio 251). Il suo nome compare nel Martirologio da tempi antichissimi; dopo la Vergine Maria, è una delle sette vergini e martiri ricordate nel canone della Messa.
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“Il martirio di S. Agata” di Sebastiano del Piombo (1519 ca, Firenze, Palazzo Pitti)
Secondo la tradizione, la giovane e nobile Agata sarebbe stata orrendamente torturata, fino all’asportazione dei seni, per non aver voluto rinnegare la sua fede. Sarebbe morta nella sua cella per le sevizie subìte.
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Il martirio di S. Agata in un’icona ortodossa
La martire fu poi invocata nel corso dei secoli dai Catanesi durante le eruzioni dell’Etna e più volte la sua immagine portata in processione salvò la città dalla lava. E’ stata eletta a patrona da fonditori di campane, donne affette da patologie al seno, balie, nutrici, infermieri; in Sicilia anche dalle tessitrici e in Argentina dai Vigili del Fuoco. E’ invocata contro incendi, eruzioni, disastri ambientali. Sant’Agata è patrona, oltre che ovviamente di Catania, di Gallipoli e di Malta.
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S. Agata di Piero della Francesca (1460 – Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)
Dalle nostra parti Sant’Egta è patrona, altrettanto ovviamente, di Sant’Agata Feltria, ma anche della Repubblica di San Marino. Come mai?
L’assunzione di Sant’Agata a co-patrona della Repubblica risale al 1740, quando San Marino riacquistò la sua indipendenza dopo l’invasione del Cardinal Alberoni. L’atto ufficiale che sanciva la ritrovata libertà fu emanato il 5 febbraio, consacrato appunto alla Santa catanese. E quel giorno l’effige di Sant’Agata venne portata in processione da Borgo Maggiore sino alla Basilica del Santo nel centro storico di San Marino.
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Croce dell’Ordine cavalleresco di S. Agata, costituito a San Marino nel 1923
La tre cime svettanti del Monte Titano caratterizzano il panorama di questa parte di Romagna. Punto di riferimento anche geografico e meteorologico.
“Tremontasièm”, tre monti assieme, o “tre mont in un”, è l’allineamento che un navigante in arrivo dal largo doveva seguire per azzeccare l’arduo imbocco al porto di Rimini: quando le alture di Covignano, San Marino e Carpegna appaiono esattamente una dietro l’altra.
“San Marèin l’ha e’ capel, la zurnèda l’ha’n vel quel”, San Marino ha il cappello, la giornata non vale più niente: se San Marino è coperto di basse nuvole il tempo non promette niente di buono e la “giornata” – cioè la paga del bracciante agricolo – se ne va in fumo.
Gianni Quondamatteo ricorda poi un curioso gioco che tutti i piccoli del Riminese hanno, purtroppo, conosciuto: “Fè veda San Marèin”; far vedere San Marino a un bambino: scherzo o gioco sciocco e pericoloso: si sollevava la vittima da terra con la pressione delle mani ai lati della testa. Ne potevano soffrire le vertebre cervicali”.
(Nell’immagine di apertura, San Marino e Sant’Agata)
5 febbraio 1831 – Rimini si ribella al Papa ed entra nelle “Provincie Unite Italiane”