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Così Simone Cristicchi ci insegna a volare

“Manuale di volo per l’uomo”. Si chiama così lo spettacolo che Simone Cristicchi, cantante, attore, scrittore, artista poliedrico e dalle tante sfaccettature, porterà in scena questa sera, venerdì 30 novembre (inizio ore 21,00), al Teatro Titano, per la “Rassegna Microphonie” di San Marino Teatro.

Il testo di questa opera è stato scritto da Cristicchi, direttore, tra le altre cose, del Teatro Stabile d’Abruzzo, Gabriele Ortenzi, con la regia di Antonio Calendario e collaborazione di Nicola Brunialti. A interpretare quest’uomo così particolare, un quarantenne rimasto bambino per cui tutto è incredibilmente affascinante, sarà lo stesso Simone Cristicchi. E noi, prima di arrivare a parlare dello show, proviamo a scoprire cosa c’è dietro all’artista romano che, ricordiamolo, nel 2007, ha vinto il Festival di Sanremo con il brano Ti regalerò una rosa.

Dal successo di Sanremo di 11 anni fa ad oggi, quanto è cambiata la vita di Simone Cristicchi?

«La vittoria del Festival di Sanremo del 2007, con quella canzone, ha contribuito ad allargare la visibilità e la mia popolarità. Tutto questo mi ha permesso di aprire un canale parallelo alla musica, che è quello della sperimentazione. Ho scritto quattro libri con la Mondadori, ho pubblicato dei documentari e ho cominciato a lavorare in teatro. La mia vita, comunque, non è cambiata nella sua essenza, perché sono rimasto molto fedele a quello spirito osservatore della realtà e devo tutto a quella curiosità bambina che mi permette di stupirmi di tutto quello che mi accade ogni giorno».

Cosa è cambiato, invece?

«Quello che è cambiato è lo spettro di pubblico, perché rivolgendomi ad un pubblico teatrale, ormai da 7 anni, la cerchia di persone che mi segue si è ristretta. Però ho trovato nel teatro il mio habitat naturale come modalità espressiva e non lo cambierei per niente al mondo».

A proposito di habitat naturale, quando è nato il suo amore per il teatro?

«Quando, a 16 anni, mia madre mi portò a vedere uno spettacolo di Gigi Proietti al Teatro Sistina di Roma. Sono rimasto sbalordito, perché questa persona, da solo, grazie alla sua mimica, al suo carisma e alla recitazione, era riuscito ad intrattenerci per circa tre ore, facendoci ridere a crepapelle ed emozionarci fino alle lacrime. Successivamente, mi sono appassionato al teatro di narrazione e civile, grazie alla visione di Vajont di Marco Paolini. E poi, nel 2010, ho avuto l’ardire di sperimentare le mie capacità con un primo monologo che si chiamava “Li Romani in Russia”, un racconto sulla guerra di Russia, alla quale partecipò mio nonno Rinaldo, una storia che, in parte, aveva a che fare con la mia famiglia. Infine, è arrivata una casa di produzione che ha deciso di puntare su di me e quindi ho dato vita al mio secondo lavoro “Mio nonno è morto in guerra”, e il pubblico ha iniziato a seguirmi sempre più assiduamente».

Mi parli dello spettacolo che metterà in scena. Il personaggio che va ad interpretare, le assomiglia almeno un po’?

«Questa opera è il frutto di un pensiero rivolto al senso della vita, dell’esistenza. In questi anni, ho avuto la fortuna di incontrare delle personalità straordinarie che, per assurdo, non appaiono mai in televisione. È gente che vive fuori dal mondo, ma molto vicine a noi. Ho frequentato persone che vivono nei monasteri, negli eremi, suore di clausura. E ho cercato in loro un’umanità diversa, che guarda più all’essenza, all’essenziale, alle domande importanti della vita. Che cos’è la felicità? Come si può raggiungere uno stato di gioia permanente? Che senso ha il dolore nella nostra vita? E, soprattutto, come si può trasformare il dolore in qualcosa di positivo? Da tutte queste riflessioni nasce questo personaggio, che si chiama Raffaello, e ha molto a che fare con me. È il primo spettacolo di prosa pura, senza canzoni, ed è il primo esperimento da attore completa. Raffaello è un personaggio stralunato che vive la sua vita molto drammatica, ma riesce, raccontandosi al pubblico, e alla madre, che lui ritrova in punto di morte, a sollevarsi, a togliersi queste zavorre del passato che lo tengono ancorato a terra ed elevarsi verso un volo che gli restituisce una dignità, un senso alla sua vita, un posto nel mondo. È una rappresentazione surreale, poetica e mi piace, perché ognuno può trovare una chiave interpretativa a questo lavoro».

Nicola Luccarelli

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