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Cari Ravaioli e Melucci, nessun amministratore vincerà contro l’oblio

Amici e compagni (si cominciavano così i discorsi impegnativi), non è il caso che ve la prendiate. Avete abbastanza esperienza per sapere che nelle vicende amministrative chi conta è quello che inaugura. Chi se ne frega se dietro c’è un lungo lavoro di mediazione, di progettazione, di mediazione sulla progettazione, di reperimento fondi, di mediazione sul reperimento fondi, di appalti, di ricorsi, di mediazione sui ricorsi. Colui che, meritoriamente o sciaguratamente, fa partire l’opera quasi mai è quello che si presenta in fascia tricolore ad inaugurarla. Questa è la vita dell’amministratore pubblico.

Poi c’è l’oblio. La “leggerezza”, la caducità della “fama”, tipica della vita dell’amministratore e di molte altre categorie, è uno dei motivi per cui, quando facevo il Sindaco, non ho mai frequentato volentieri le inaugurazioni, perché sapevo che erano un’illusione e che in fondo i meriti non erano del tutto miei.

A dire la verità ho avuto l’occasione di togliermi la soddisfazione. Quando inaugurammo il depuratore di S.Giustina, dopo un terribile conflitto con la ditta appaltatrice che pretendeva altri soldi (gestito con piglio da preside dall’Assessore Zavatta che infatti faceva il Preside del Classico!) ero legittimato ad inaugurarlo anche perché qualche anno prima, come Assessore regionale all’Ambiente, avevo trovato i soldi per realizzarlo.

Così fu per il Teatro degli Atti. Cecilia Martinez fece progettare il restauro del vecchio cinema Italia dall’architetto Carlo Gandolfi; dalla Regione, finanziai il 50% del recupero con la legge delle mucillagini, almeno la metà del merito era mio. Quando fu pronto, la giunta Conti non c’era più da un pezzo e avrei potuto inaugurarlo io.
A guardare le opere trainanti della città, più o meno, funziona tutto così, tranne le cose “brevi”, come gli asfalti colorati o la cessione di piazza S.Martino ai pizzaioli.

Il recupero del Fulgor nacque da una convenzione fra Comune e Istituto Valloni fatta dalla mia Giunta nel ’97, andò avanti con Ravaioli, fu completata da Gnassi.

Possiamo essere certi che, quando si inaugurerà il Museo Fellini, nessuno dirà che ciò è possibile perché la vecchia Fondazione raccolse un patrimonio iconografico del valore di milioni di euro, oggi nelle mani del Comune grazie ad una norma dello statuto.

Della Darsena si cominciò a discutere dopo la prima guerra Mondiale, io ho concluso l’iter amministrativo, Ravaioli l’ha inaugurata.

Della Fiera che dire? Si cominciò a parlare di spostamento della Fiera nei primi anni ’80, io ed Ermanno Vichi posammo la prima pietra nel giugno del ’99, la inaugurò Ravaioli con Prodi, Gnassi oggi ne ricava gli utili.
Non dico nulla del teatro perché sono impegnato a fare la fila sperando di comprare un biglietto, visto che abbiamo rifatto il teatro del 1853, quando Rimini aveva 28mila abitanti. Tuttavia saremo tutti ingenuamente e sinceramente contenti quando, il 28 ottobre, si alzerà il sipario. Se non altro perché ci saremo tolti un pensiero e non litigheremo più su come ricostruire il teatro.

Allora dove sta il problema?

Per gli amministratori in carica è soprattutto un problema di stile. Uno che inaugura una cosa che viene da lontano, deve ricordarsi di chi lo ha preceduto, pensando che l’oblio presto toccherà a lui. Parafrasando il Manzoni si potrebbe però dire che lo stile uno non se lo può dare, o ce l’ha o non ce l’ha.

Per i giornalisti la questione è più complicata. Essi sono narratori, talvolta “cantori”, del presente, di un presente che appare piatto, privo di storia. Non hanno né tempo, né voglia di andare a fondo nelle questioni. Sono spesso umorali, nevrotizzati dai tempi di redazione, dalle difficoltà della carta stampata, dalla concorrenza. Per necessità abitano la superficie delle cose. E’ dura la vita del cronista di provincia, ogni mattina alle prese con cocaina nei privé, con 5000 euro4 da rottamare in pochi giorni, con l’aeroporto che promette milioni di passeggeri, con piccoli e grandi delitti. Non può avere il tempo di vedere che nel centro storico metà dei negozi chiude, che mercato e mercatini tutti i santi giorni smantellano l’arredo urbano e ammazzano il commercio fisso che, a differenza degli ambulanti, deve anche pagare la rendita immobiliare.

Vorrei vedere voi due, Ravaioli e Melucci, amici e compagni, ogni giorno a riempire 4 o 5 pagine di giornale!
Fatevene una ragione, “sic transit gloria mundi”, l’oblio prima o poi sommergerà tutti.

Giuseppe Chicchi

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