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Eutanasia, fra compassione e benevolenza

Non ero mai intervenuto su un problema così complesso come quello dell’eutanasia.
Motivi di opportunità e la vicinanza alla Chiesa Cattolica e al Suo pensiero , mi avevano sconsigliato di intervenire su un tema tanto delicato.

Né con questo mio intervento voglio prendere una posizione netta o molto articolata, a favore o contro l’eutanasia.
Non è questo l’argomento che si presta, a mio parere, a prese di posizioni troppo definite e teoricamente ragionate, poiché ritengo che nelle decisioni in merito, subentrino tante altre motivazioni, che vanno ben oltre il mero ‘ragionamento’.

Ma il clamore suscitato in questi giorni di quanto riportato dalla stampa e dai mezzi di comunicazione, in particolare le televisioni, della morte anticipata, sembrerebbe, di un giovane adolescente di 17 anni affetto da patologia presumo oncologica, mi ha fatto molto riflettere.

E la presa di posizione ferma della Chiesa Cattolica italiana a favore sempre della vita non mi ha per nulla scandalizzato o suscitato in me reazioni di contrapposizione.
Cosa dovrebbe fare la Chiesa Cattolica di diverso se non sostenere la vita sempre e comunque? Lo sta facendo su questo argomento e su tantissimi altri.

Penso come esempi al problema delle guerre nel mondo e al fenomeno delle migrazioni di massa con tante morti a cui assistiamo impotenti, difronte a cui la voce del Pontefice si leva con autorevolezza, o a quello della povertà – e la voce della Chiesa è sempre stata una voce a favore dell’uomo delle sue vere libertà, contro la povertà.

Ma da laico e credente, che ha vissuto ormai per circa 50 anni la professione medica e che si è occupato dell’argomento delle malattie non guaribili, restando quindi a fianco anche di quella parte di pazienti che non riescono a vincere la loro battaglia per la vita – come lo possono invece fare in tanti oggi nel settore dell’Oncologia e Ematologia, vincendo la loro battaglia contro la malattia – non posso non raccontare la mia esperienza su questo problema, quello dell’eutanasia.
Non si può sempre tacere e agire in silenzio, arriva il tempo in cui occorre anche parlare.

LA MIA ESPERIENZA NELLE AZIENDE SANITARIE DI FORLÌ E RIMINI

Quando ho iniziato la mia esperienza nel settore dell’Oncologia, a ForlÌ nel 1971 e a Rimini nel 1989, la situazione era drammatica per i pazienti oncologici.
Le cure per la malattia erano ancora molto imperfette, le strutture sanitarie inadeguate, il personale addetto poco numeroso, anche se molto motivato.

Quante volte (troppe) ho visto pazienti con difficoltà personali legate alla malattia e in una fase avanzata della stessa, ricoverati in reparti di Medicina Generale e Geriatria, reparti la cui vocazione non era certo l’Oncologia e il malato con malattia oncologica avanzata, in mezzo a pazienti con altre patologie, in ambiente certamente non adeguato.

Il ‘dogma’ (i dogmi non ci sono solo in religione , ma anche in politica) era che non si dovevano fare Reparti Ospedalieri dedicati, per non fare ‘lazzaretti’ ospedalieri di pazienti solo oncologici.

Quando nel 1989 iniziai a lavorare a Rimini, ricordo ancora quei poveri pazienti in camere a sei letti, senza bagno e senza aria condizionata.
Fu allora che lanciai la sfida ai ‘compagni’ prendendoli sostanzialmente in giro per la situazione in cui si trovavano i pazienti stessi: oltre alla qualità delle cure, sostenevo , la sistemazione alberghiera, nella “città degli alberghi”, era indubbiamente poco decorosa.

Il risultato finale di quella sfida lo vediamo oggi, dopo 26 anni, con il nuovo Ospedale, che dal punto di vista alberghiero nulla ha da invidiare ad altri nosocomi.
Bravi ‘i compagni’ hanno raccolto e vinto la sfida.

Ma di una altra cosa, fra le tante, sono orgoglioso: finalmente è stata riunita sotto una unica Direzione, a Rimini, la gestione delle degenze dei pazienti oncologici: lo stesso primario ha a disposizione 48 letti oncologici, 20 di Hospice per i pazienti più gravi e 10 di degenza ordinaria per le terapie più impegnative (oltre ai 10 ematologici), e 8 di Day-Hospital per i trattamenti ambulatoriali.

I letti di Hospice sono poi molto ospitali dal punto di vista logistico-alberghiero, con camere a 1 letto, con bagno e con la possibilità di poter far dormire un familiare durante la notte.

Debbo dire che il direttore generale in questo caso è stato molto bravo.
È una soluzione ottimale e i Medici hanno la possibilItà di avere a disposizione più soluzioni per una gestione dei pazienti adatte alle singole personalità e esigenze e soprattutto alla condizione clinica del paziente.

I molti pazienti che possono guarire e quelli che sono in condizioni generali buone, hanno percorsi diversi rispetto a quelli che richiedono una assistenza più intensiva (il Reparto di degenza) o più ‘riservata’ (l’Hospice).

Per quale motivo sono entrato cosi’ nel dettaglio?
Perchè, a mio parere, molte delle ragioni che spingono un paziente a pensare a una morte anticipata, oltre alla paura della malattia e dei suoi sintomi, risiedono nella difficoltà personale di sentirsi come “un peso”, dal punto di vista fisico e economico, per famiglie che non sono assolutamente in grado di seguire un paziente spesso in così gravi condizioni.

La situazione logistica attuale rende a mio parere molto poco frequente la richiesta di morte anticipata da parte del paziente.

Cosa voglio dire.
Voglio significare che se si vuole ridurre al minimo la richiesta di porre fine in modo anticipito alle sofferenze della malattia, occorre creare le condizioni affinchè questo possa avvenire, realizzando strutture ospedaliere e condizioni adeguate all’assistenza , per ogni patologia individuabile.

Affinchè non succeda che si proclami un principio, giusto, la difesa della vita, ma poi ci si volti dall’altra parte se non esistono strutture adeguate.

Ma nonostante questa situazione quasi ottimale di Rimini, nella mia esperienza debbo testimoniare che il problema della richiesta di eutanasia non è stato completamente risolto, diciamo, dalla logistica.

LA MIA ESPERIENZA DI RICHIESTE AL MEDICO DI EUTANASIA

Sono stati assai pochi i pazienti a farmi questa richiesta.
Nella maggior parte dei casi il paziente vuole vivere, vuole rimanere vicino ai suoi familiari e i familiari vogliono assistere il loro congiunto.
In una situazione di buona assistenza il problema si esaurisce con il dialogo e il controllo dei sintomi.

Ci fu però il caso di un paziente che negli ultimi giorni di vita mi chiese espressamente l’eutanasia e affrontammo la situazione con una sedazione profonda che durò tre giorni.
Alcuni altri me lo chiesero e si recarono in Paesi con legislazione che permetteva l’eutanasia.

Il problema della sedazione più o meno profonda va affrontato in queste situazioni così complesse e delicate, e io penso che siano i medici e il personale sanitario a doverle prendere in considerazione, in accordo con il paziente e i familiari.

Lo dicono anche i Vescovi francesi in un loro documento di molti anni orsono, che l’astensione dalle cure e la sedazione sono armi terapeutiche che sono possibili in queste fasi della vita.

In queste situazioni quindi i medici vanno aiutati ad operare e una legislazione che permetta loro di agire con più duttilità, rispettando rigorose regole cliniche, può a mio parere risultare utile.

Sono venuto anche a contatto con situazioni cliniche in cui pazienti hanno chiesto l’eutanasia per supposti problemi oncologici, che non esistevano, mentre la richiesta era legata in realtà a turbamenti del profondo e depressione.

In questi casi apparve ovvio che dialogo e convincimento dovevano prendere il sopravvento, come poi è avvenuto senza arrivare a soluzioni estreme.

Quindi, per quanto raro, il problema dell’eutanasia esiste e deve essere affrontato. Si possono scegliere due soluzioni: o la si proibisce in assoluto e si  lascia che qualcuno se ne vada in Svizzera, oppure si affronta il problema di una regolamentazione.

CONSIDERAZIONI

Io penso che una legislazione ad hoc per le situazioni di fine vita debba essere affrontata.

Innanzi tutto per creare le strutture necessarie atte a seguire i pazienti con maggiore attenzione e dignità. In Emilia-Romagna e in altre Regioni del Centro-Nord è così, ma come è la situazione nel resto del Paese? Non credo che in tutta Italia sia ottimale.

Una legislazione serve anche per indicare degli standard assistenziali, per dare dignità a queste condizioni particolari e non lasciare i pazienti a volte nella sofferenza e qualche volta disperazione.

Una legislazione serve anche, come seconda motivazione, per attribuire ai medici una maggiore flessibilità nelle cure, parlo di quelle palliative e al paziente di esprimere la propria volontà relativamente a cure eccessivamente aggressive nei confronti di malattie avanzate e non guaribili (testamento biologico ?).

Una regolamentazione rigorosa e collaborazioni professionali ben precise devono essere attivate, affinchè il paziente non sia costretto a decidere solo per la paura della sofferenza della malattia (che può essere combattuta), ma con una decisione clinicamente valida e molto ben ponderata.

Non mi paiono però questi i tempi politici adeguati per un tale passaggio legislativo.
Per affrontarlo occorrerebbero serenità del clima politico e apporti che vadano oltre l’appartenenza a schieramenti o gruppi.
Come dicevo, non ne vedo attualmente le condizioni.

Ma intanto iniziamo a discutere dell’argomento, a preparare il terreno legislativo e soprattutto l’ambiente sanitario, quello logistico e strutturale, adatto ad assistere pazienti in così importanti e delicate situazioni cliniche, oggi, e non domani.

E proprio ricordando le sofferenze inutili nel passato di tanti pazienti, che mi sono deciso ad intervenire su questo argomento per il quale avevo mantenuto il silenzio, e a illustrare la mia esperienza e posizione personale.

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