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Uno Bianca, Marino Occhipinti è libero

Marino Occhipinti, uno degli ex poliziotti assassini della Banda della Uno Bianca, da ieri è un uomo libero. Il Tribunale di sorveglianza di Venezia gli ha notificato in carcere, al “Due Palazzi”, il provvedimento che da subito gli consente di uscire dalla casa di reclusione di Padova. La notizia è riportata da alcuni quotidiani.

Lo hanno deciso il presidente del Tribunale, Giovanni Maria Pavarin, e il giudice a latere Linda Arata, secondo i quali l’ex bandito, assistito negli anni dall’avvocato bolognese Milena Micele, è sinceramente «pentito», ha «rivisitato in modo critico il suo passato» e «non è socialmente pericoloso». Anzi, avrebbe dimostrato con il suo percorso in carcere di poter essere utile alla società.

Ma questa decisione non passerà certamente senza polemiche. È facile immaginare l’effetto che avrà sui familiari delle vittime dei poliziotti assassini, da sempre fortemente contrari a qualsiasi tipo di concessione, beneficio o permesso ai tre fratelli Savi (Roberto, Fabio e Alberto) e a Occhipinti, come ai componenti «minori» Pietro Gugliotta e Luca Vallicelli. Questi ultimi, condannati a pene minori per non aver partecipato agli omicidi, sono liberi ormai da anni. Ma Occhipinti è il primo dei membri di spicco del gruppo, cioè coloro che commisero fatti di sangue, a lasciarsi definitivamente alle spalle il carcere. La decisione del Tribunale veneto, in questo senso, non ha precedenti. E per i familiari rappresenta, da qualsiasi angolazione la si guardi, un duro colpo.

Occhipinti, oggi 53enne, condannato all’ergastolo nel 1997 per avere partecipato, fra l’altro, all’omicidio della guardia giurata Carlo Beccari, 22 anni, (19 febbraio 1988) durante l’assalto alla Coop di Casalecchio, lascia il carcere dopo una detenzione durata quasi 24 anni. Venne arrestato alla fine del 1994 e dal gennaio 2012 era in regime di semilibertà.

Da allora — con una routine ormai consolidata: uscita alle 7.30; riposo a casa della nuova compagna, una donna separata dal 2011 e madre di due figli; quindi di nuovo notte in cella — lasciava ogni giorno dal carcere per andare a lavorare presso la cooperativa Giotto di Padova, la cooperativa della Compagna delle Opere, guidata da Nicola Boscoletto, «in considerazione del percorso di recupero sinceramente intrapreso e dell’autentica rivisitazione critica della propria parentesi criminale», come scriveva allora il presidente Pavarin. Uomo di legge che ha sempre difeso il percorso del detenuto Occhipinti, sin da quando, nel 2010, gli concesse il primo permesso premio: sei ore per partecipare alla Via Crucis organizzata a Sarmeola di Rubano proprio da Comunione e liberazione. E sempre per seguire Cl e la cooperativa Giotto, l’anno scorso, Occhipinti aveva ottenuto un altro permesso che aveva fatto discutere, quello di trascorrere una settimana in un hotel in Val d’Aosta. Contro questa concessione, a Bologna, c’era stata una sorta di sollevazione. Il caso era stato portato addirittura all’attenzione del Parlamento dal deputato dem Andrea De Maria, che aveva chiesto conto delle motivazioni dei giudici veneziani. Sono da cercare sempre dietro e dentro il suo percorso di «rivisitazione critica» queste motivazioni.

Poi ci sono le perizie criminologiche, la prima del 2007 e i successivi aggiornamenti, le relazioni di sintesi nelle quali è stato sempre evidenziato il ruolo centrale del lavoro di Occhipinti — prima in ospedale a Padova al call center e poi, da qualche tempo, in quello di Mestre, all’«Angelo»; senza dire del grande contributo nelle sedute del giornale del carcere diretto da Ornella Favero, Ristretti Orizzonti — nel suo «distacco» da un passato di sangue e violenza. Documentazione che l’avvocato Micele ha prodotto nell’udienza del 20 giugno scorso in cui si è appunto discusso dell’opportunità di dare al detenuto semilibero la possibilità di fare il salto. Un salto verso una nuova vita, che certamente non sarà in Romagna, la sua terrà d’origine, e non potrà essere a Bologna: troppe persone, ancora, qui, piangono per i suoi crimini.

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