Il 9 gennaio 1416 Carlo Malatesta signore di Rimini e Fano si ritrova sotto accusa al Concilio ecumenico di Costanza. Gli oratori di Rodolfo da Camerino, di Ludovico de’ Migliorati da Fermo e degli Anconetani, accusano Karolus de Malatestis di essere la causa dei gravi danni subiti dalla città di Ancona. Gli oratori di Carlo, prontamente intervenuti, non faticano però molto nel dimostrare la fedeltà dei Malatesti alla Chiesa e la falsità delle accuse.
Ma perché un Concilio ecumenico che si stava tenendo in Germania arrivava a occuparsi delle beghe fra Riminesi e Anconetani?
Perché Carlo Malatesta in quel momento è uno dei personaggi chiave in Italia e addirittura in Europa. I tentativi di screditarlo fanno parte di un groviglio inestricabile che avviluppava tutta la cristianità occidentale.
Dal 1378 i papi erano due. E nel 1409 erano diventati tre: Gregorio XII a Roma, Benedetto XIII ad Avignone, e Giovanni XXIII a Pisa. Era lo “Scisma d’Occidente”, la più grave crisi vissuta fino ad allora dalla Chiesa cattolica.
Ricostruirne in due righe le fasi e le motivazioni è impossibile. Basti dire che infine fu risolutivo l’ennesimo Concilio convocato appunto in Germania a Costanza nel 1414, sotto la tutela dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo.
Dovranno però passare ancora tre anni prima di addivenire a una soluzione. Che alla fine fu di compromesso: Gregorio per amor di concordia accettò di abdicare (fu l’ultimo a farlo prima del gesto di Benedetto XVI nel 2013), Benedetto e Giovanni furono condannati come scismatici e la loro elezione annullata. L’11 novembre 1417, fu eletto papa il cardinale Oddo Colonna, che scelse il nome del santo del giorno della sua elezione divenendo Martino V.
Ma cosa c’entrava il Malatesta? Carlo era fautore di papa Gregorio, ma non uno qualsiasi: fu addirittura lui a pronunciare l’orazione di rinuncia di fronte al Concilio. Era insomma il plenipotenziario del pontefice e nel corso dei tumultuosi avvenimenti dello Scisma ne garantì anche l’incolumità ospitandolo a Rimini, dove era arrivato dopo un’avventurosa fuga via mare da Gaeta a Cesenatico.
Sotto la signoria di Carlo e di suo fratello Pandolfo, i Malatesti raggiunsero l’apogeo della loro gloria, nonché la massima estensione territoriale. Controllavano a vario titolo quasi tutta la Romagna, buona parte delle Marche, la dorsale appenninica fino a Sansepolcro e Citerna e per un certo periodo perfino le città di Bergamo e Brescia.
In Carlo (1368 – 1429), scrive Anna Falcioni (in Dizionario biografico Treccani) “si unirono le virtù dell’amante delle lettere, del mecenate, del poeta ma anche quelle del valente militare e del principe giusto. La posizione di prestigio – conseguita grazie alle sue spiccate attitudini diplomatiche e cercando nella costante fedeltà alla S. Sede la conciliazione fra idealità e pragmatismo, fra tradizione e innovazione -, fece di lui il principale moderatore della politica italiana. La ricerca del consenso fu sollecitata dal M. anche attraverso le forme di propaganda di corte: poeti, letterati, storiografi rinvenivano nella scoperta del mondo classico motivi e mezzi espressivi efficaci di esaltazione del signore e della sua dinastia. In questo contesto fu realizzato il codice miniato della Regalis Yistoria (Rimini, Biblioteca Gambalunga, Sez. chiusa – Mss., 35) che, dedicato al M. e da lui commissionato a un certo frate Leonardo dell’Ordine dei predicatori tra il 1385 e il 1390, traccia una fantastica genealogia malatestiana attingendo a testi precedenti, soprattutto alla Marcha di M. Battagli. Tra gli uomini di cultura che nella corte romagnola dettero voce alla propaganda malatestiana vi furono Leonardo Bruni, Gambino d’Arezzo, Simone Serdini e Pietro Tebaldo Turchi; quest’ultimo, in particolare, fu il tramite tra il M. e Coluccio Salutati“.
A lui si devono, fra l’altro, il grandi lavori al porto di Rimini, che gli conferirono l’assetto attuale; la costruzione dei santuari della Madonna delle Grazie e S. Maria Annunziata di Scolca; abili riforme economiche e giuridiche che diedero slancio all’economia delle città da lui amministrate.
Buon condottiero, ma soprattutto ottimo politico e diplomatico, seppe conquistarsi la stima e il rispetto di tutti, avversari compresi. Papa Gregorio nel 1399 – dunque ben prima degli avvenimenti del Concilio – gli aveva concesso la Rosa d’Oro, altissima onorificenza riservata di solito solo ai re. È la Rosa Malatestiana che da allora comparve nell’araldica della famiglia.
Carlo fu sinceramente religioso e cercò più volte di estirpare le superstizioni pagane. Come la fogheraccia di San Giuseppe, che venne severamente proibita dai suoi bandi: come vediamo ancora oggi, uno dei pochi insuccessi di una grandissima carriera.