Il 5 febbraio le Chiese cattolica e ortodossa commemorano Sant’Agata Vergine e martire (San Giovanni Galermo, 8 settembre 229 / 235 – Catania, 5 febbraio 251). Il suo nome compare nel Martirologio da tempi antichissimi; dopo la Vergine Maria, è una delle sette vergini e martiri ricordate nel canone della Messa.
Secondo la tradizione, la giovane e nobile Agata sarebbe stata orrendamente torturata, fino all’asportazione dei seni, per non aver voluto rinnegare la sua fede. Sarebbe morta nella sua cella per le sevizie subìte.
La martire fu poi invocata nel corso dei secoli dai Catanesi durante le eruzioni dell’Etna e più volte la sua immagine portata in processione salvò la città dalla lava. E’ stata eletta a patrona da fonditori di campane, donne affette da patologie al seno, balie, nutrici, infermieri; in Sicilia anche dalle tessitrici e in Argentina dai Vigili del Fuoco. E’ invocata contro incendi, eruzioni, disastri ambientali. Sant’Agata è patrona, oltre che ovviamente di Catania, di Gallipoli e di Malta.
Dalle nostra parti Sant’Egta è patrona, altrettanto ovviamente, di Sant’Agata Feltria, ma anche della Repubblica di San Marino. Come mai?
L’assunzione di Sant’Agata a co-patrona della Repubblica risale al 1740, quando San Marino riacquistò la sua indipendenza dopo l’invasione del Cardinal Alberoni. L’atto ufficiale che sanciva la ritrovata libertà fu emanato il 5 febbraio, consacrato appunto alla Santa catanese. E quel giorno l’effige di Sant’Agata venne portata in processione da Borgo Maggiore sino alla Basilica del Santo nel centro storico di San Marino.
La tre cime svettanti del Monte Titano caratterizzano il panorama di questa parte di Romagna. Punto di riferimento anche geografico e meteorologico.
“Tremontasièm”, tre monti assieme, o “tre mont in un”, è l’allineamento che un navigante in arrivo dal largo doveva seguire per azzeccare l’arduo imbocco al porto di Rimini: quando le alture di Covignano, San Marino e Carpegna appaiono esattamente una dietro l’altra.
“San Marèin l’ha e’ capel, la zurnèda l’ha’n vel quel”, San Marino ha il cappello, la giornata non vale più niente: se San Marino è coperto di basse nuvole il tempo non promette niente di buono e la “giornata” – cioè la paga del bracciante agricolo – se ne va in fumo.
Gianni Quondamatteo ricorda poi un curioso gioco che tutti i piccoli del Riminese hanno, purtroppo, conosciuto: “Fè veda San Marèin”; far vedere San Marino a un bambino: scherzo o gioco sciocco e pericoloso: si sollevava la vittima da terra con la pressione delle mani ai lati della testa. Ne potevano soffrire le vertebre cervicali”.
(Nell’immagine di apertura, San Marino e Sant’Agata)
5 febbraio 1831 – Rimini si ribella al Papa ed entra nelle “Provincie Unite Italiane”