Il 4 ottobre 1944 il Cln (Comitato di Liberazione Nazionale, dove sono rappresentati tutti i partiti anti-fascisti) nomina la giunta comunale. Primo sindaco di Rimini dopo la liberazione è il socialista Arturo Clari, che era già stato primo cittadino dal 1920 al 1922 prima di essere costretto alle dimissioni dagli squadristi.
Della giunta fanno parte, fra gli altri, Gomberto Bordoni, anche lui socialista e membro del Cln, e il cattolico Alberto Marvelli (che sarà proclamato Beato), quale assessore alla ricostruzione.
Inoltre: A. Zangheri, G. Babbi, F. Angelini, V. Belli, C. Giuliani, A. Gobbi, M. Macina, I. Pagliarani.
Una delle primissime delibere è quella del 9 ottobre, quando si decreta che Piazza Giulio Cesare sarà d’ora in poi Piazza Tre Martiri.
I compiti della nuova amministrazione sono durissimi. Nelle casse comunali le amministrazioni fasciste hanno lasciato un debito di 66 milioni. Impossibile ottenere prestiti. La cittadinanza sopravvive praticamente solo con i viveri, per lo più in scatola, forniti dalle truppe di occupazione alleate. Il mercato nero, già prospero prima, ora esplode. Non c’è quasi un’abitazione indenne. Gli sfollati sono un esercito. Non c’è famiglia senza lutti, separazioni, lontananze di cui non si sa più nulla.
Il 7 ottobre si allestisce già una mensa pubblica all’ex Leon d’Oro: la gestisce Marcello Bonini. Poi anche le risorte Acli ne apriranno un’altra. Il Cln costituisce un comitato di assistenza. Ma il costo della vita è aumentato del 300%, mentre i salari, per chi li ha, sono fissi e decisi dal Comando militare alleato, che stampa anche la moneta circolante: l’A.M-Lira, poco più che carta straccia di dubbio valore e talvolta anche di dubbia autenticità.
Contro il mercato nero, viene creato un corpo di polizia ausiliaria costituito da partigiani, sotto il comando alleato e diretto da Carlo Capanna. In novembre gli alleati concederanno aumenti salariali dalle 40 alle 60 lire al giorno, ma la rinata Camera del Lavoro fisserà tariffe superiori.
Le condizioni igieniche disastrose causano un’epidemia di tifo: dall’agosto ’44 al dicembre ’43 ci saranno 602 ricoverati e 53 morti. A fine anno le macerie sono ancora quasi tutte da rimuovere e l’amministrazione comunale lancia un appello ai cittadini: occorrerebbe un milione di lire, ma non c’è. Bisogna arrangiarsi. E tutti si arrangiano.