Un episodio oscuro, di cui si hanno pochi dettagli, è quello che avviene nel 1543 e che riguarda San Marino. Lo stesso Carlo Tonini, che lo riferisce a fine ‘800, dice di non averne saputo mai nulla finché “a farcene esperti viene ora una bella memoria dell’amico prof. Marino Fattori Sammarinese, tratta da documenti inediti di quegli Archivi pubblici”.
C’è dunque un tal Fabiano da Monte S. Savino, fra Arezzo e Siena; è un soldato ed è nipote del Cardinal Giovanni Maria da Monte, che poi sarà papa col nome di Giulio III. Fabiano evidentemente è già a sua agio nella corte pontificia, perché si trova nel seguito di papa Paolo III quando il pontefice si ferma a Bologna.
E qui qualcuno inizia a covare l’impresa: dare l’assalto a San Marino. Ma perché? “ad istigazione e a profitto di cui, non è noto”, si limita ad annotare il Tonini.
Comunque, Fabiano di San Savino è certamente in combutta con Nicolò di Ser Giusto dei Giusti di Anghiari, altro luogo dell’aretino e soprattutto castellano della rocca di Rimini, anche lui in quel momento a Bologna. I due se ne vengono a Rimini insieme e proprio nella rocca mettono a punto i dettagli del blitz.
Dopo di che, “a’ 4 di giugno del 1543 mosse di nottetempo alla volta della Repubblica con buon numero di fanti e cavalli, divisi in due bande, l’una delle quali era condotta da lui medesimo e dal castellano anzidetto, l’altra dai due riminesi Galeazzo Medaschi e Camillo Passarelli”. Entrambe figure eminenti in città. Il primo di famiglia notarile. già alla corte dei Malatesta. Il secondo iscritto nei ruoli della magistratura e uomo d’arme più volte fra gli incaricati della civica difesa; la sua famiglia era originaria di Verucchio dove aveva detenuto una delle due rocche, quella appunto “del Passarello” poi dal ‘600 convento di suore clarisse.
Ma qualcosa va storto. Le squadre non si riuniscono per tempo e i Sammarinesi fanno in tempo a sbarrare le porte e munire le difese prima che l’assalto sia solo tentato: “Non essere giunta in tempo una parte di quelle genti fu cagione che l’impresa fallisse e che l’antica libertà di S. Marino non patisse alcun detrimento”.
Insomma, tanto rumore per nulla. Però il complotto doveva essere serio e certamente più ampio. E forse, anche se non resta alcuna prova a riguardo, il fatto rientra nella lunga serie di tentativi, più o meno scoperti, da parte della Santa Sede di riappropriarsi della piena potestà sulla Repubblica del Santo.
Certamente fece parte della trama il nobile riminese Scipione Tingoli, “giovane allora di grande aspettazione, per avere accolto in sua casa, la sera innanzi al tentativo, il capitan Fabiano: ond’egli ebbe a giustificarsi con sue lettere presso il governo della Repubblica”. Il Tingoli, “guelfo” di ferro (perché ancora all’epoca si usano queste classificazioni), farà poi una brillante carriera militare fino a divenire colonnello di cavalleria per l’imperatore Carlo V.
“Nello stesso anno 1543 – conclude Tonini – la Repubblica di S. Marino si compose coi Comune di Verucchio circa le differenze pei confini”. Tuttavia nel 1549, il signore di Verucchio, Leonardo dei conti Pio che avevano avuto in feudo la città dai pontefici dopo essere stati cacciati dalla natìa Carpi, decise di imitare i suoi due predecessori. Tentativo di nuovo fallito. Appena il Pio si avvicinò alla mura con i suoi armati fu subito intercettato e sconfitto grazie all’appoggio di antichi amici della Repubblica, e nella fattispecie da Guidobaldo della Rovere duca di Urbino. Onde evitare altre spiacevoli ‘sorprese’ San Marino stipulò il 20 maggio 1549 a Pesaro, con Guidobaldo un accordo di difesa dei beni e persone del suo territorio.