Rimini appartiene ufficialmente alla Serenissima dal 16 dicembre 1503. Fra i primissimi provvedimenti emanati dal Senato Veneto per la città si segnala un vero “condono tombale” datato 4 gennaio 1504:
“Che niuno cittadino, ovvero abitante della città e del contado, possa essere chiamato in giudicio, nè molestato realmente o personalmente ad istanza di forestiero alcuno dentro lo spazio di cinque anni avvenire, nè procedere criminalmente contro alcuno dè suddetti per la qual si sia delitto commesso prima che Rimini fosse in potere della Serenissima Repubblica, acciocchè sia permesso a chi vorrà nell’avvenire rettamente vivere nella Città o Contado, sicuramente abitare, e pacificamente possedere, e godere i suoi beni legittimamente non confiscati”.
Cesare Clementini, che scriveva un secolo dopo i fatti, sottolinea che questo atto non fu richiesto dai Riminesi, ma rappresentò un’iniziativa dei governanti veneziani per pacificare una città che veniva da lunghi anni di turbolenze e lotte fra fazioni.
Siamo al tramonto della signoria dei Malatesta. L’ultimo di loro è Pandolfo IV, che si è meritato l’appellativo di Pandolfaccio. Era stato costretto una prima volta, nell’ottobre del 1500, a vendere i suoi domini a Cesare Borgia, che stava debellando uno a uno i signorotti romagnoli per riportare la regione sotto il controllo diretto di suo padre, papa Alessandro VI. I Riminesi accolsero il Duca Valentino come un liberatore, dopo il clima di terrore cui li aveva sottoposti Pandolfaccio.
Alla morte del papa, il Malatesta riesce però a rientrare nei suoi domini, abbandonandosi a condanne capitali e all’esilio. Ma nemmeno la violenza riesce più a contenere la ribellione dei sudditi, che del loro signore non ne vogliono più sapere. Si intavola così una trattativa con la Repubblica di Venezia, da sempre amica dei Malatesti e cui la reconquista papale proprio non va giù: ha già occupato mezza Romagna proprio per frenare le velleità di Roma da una parte, di Firenze dall’altra, che sempre più sta debordando oltre l’Appennino.
Nonostante i titoli alquanto dubbi che il Malatesta poteva vantare – era pur sempre un Vicario della Santa Sede a titolo personale, non un feudatario per diritto ereditario – l’affare va in porto: quanto resta dello “Stato” malatestiano, comprese Meldola e Sarsina, viene venduto per 10 mila ducati d’oro, più altri 4.500 per la rocca e e suoi armamenti e diverse prebende e privilegi per la famiglia dell’ex signore. Il quale inoltre riceve “in perpetuo” anche Cittadella, nel Padovano, quale feudo personale.
Il “condono” non fu l’unico provvedimento con cui la Serenissima si presentò a Rimini. In un impeto di quello che oggi si direbbe liberismo, furono aboliti tutti i dazi e le gabelle, resa libera la navigazione da e per il nostro porto con qualsiasi tipo di mercanzia, estese a tutto l’anno le esenzioni fiscali per il commercio, sia via terra sia via mare, prima previste soltanto per i periodi di fiera. I Riminesi possono poi richiedere dall’Istria tutto il legname di cui abbiano bisogno, mentre pagheranno un prezzo di favore per il sale di Cervia.
Misure per acquistare consenso, ma anche ricostituenti per un’economia che doveva essere piuttosto mal ridotta.
Un albero di nave fu piantato all’imboccatura del porto per farvi sventolare il vessillo oro e porpora del Leone di San Marco. Durante il governo veneto, a Rimini erano stanziate due galee armate.
Il governatore Malipiero condusse un minuzioso censimento delle opere di difesa, che oggi costituisce per noi un prezioso documento soprattutto per la descrizione di tutti i castelli del contado. Ne esce un quadro piuttosto desolante: i castellani sono sovente “poveri huomini”, le mura “dirute“, le torri “ruinate“, gli armamenti scarsi e antiquati; lo stesso Castel Sismondo, che pure conta appena 50 anni, ha bisogno urgente di restauri e probabilmente ha già avuto le sue torri mozzate, ormai troppo alte per i progressi delle artiglierie.
Ma i Dogi non avranno il tempo per attuare il loro risanamento. Il 14 maggio 1509, ad Agnadello fra Cremona e Bergamo, Francia, Impero e S. Sede uniti nella Lega di Cabrai infliggono una pesante sconfitta ai Veneziani. Il Senato della Repubblica deve restituire al Papa tutte le terre romagnole, Rimini in testa. Inizia il governo diretto della Santa Sede, che sarebbe durato fino al 5 febbraio 1860.