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30 gennaio 1803 – Nasce a Rimini il Casino Civico, da circolo democratico a ritrovo d’élite

Come annota Carlo Tonini per l’anno 1803, “Abbiamo già veduto, che per diletto e passatempo della Nobiltà solevansi tenere liete conversazioni serali nelle sale del pubblico palazzo (comunale, ndr). Ora troviamo che ad esse fu sostituita, agli ultimi di gennaio, l’istituzione del cosi detto Casino Civico il quale si aperse nella casa de’ Serpieri, Collegio anticamente delle Celibate di S. Cecilia (nell’attuale piazza Ferrari). Ivi presero a sollazzarsi i nobili e i cittadini promiscuamente con suoni, canti e balli alla democratica”.

La società viene costituita, come si legge nello statuto, con «atto approvato con decreto del vice prefetto in data 31 gennaio 1803 anno secondo della Repubblica italiana». E cioè lo stato che Napoleone ha messo in piedi dopo la Repubblica Cisalpina e prima del Regno d’Italia, con al vertice assoluto sempre lui.

Dunque la nascita della Società del Casino Civico rappresenta per Rimini una conquista “democratica”. Prima, infatti, solo i nobili potevano “tenere liete conversazioni” fra di loro. Ora invece si “sollazzano” assieme ai cittadini: “promiscuamente”. 

Tutti i cittadini? Non proprio. Solo i borghesi, la classe che con l’arrivo dei Francesi sta trionfando e reclama di entrare nel salotto buono senza dovesi vergognare della propria ricchezza. Che il più delle volte è ben più solida e consistente di quella avanzata alla casta nobiliare. La quale, mentre le famiglie che erano iscrtte nel Libro d’Oro (dato alle fiamme dai repubbicani) si estinguono una dopo l’altra, è ormai la prima a rendersi conto che la sua epoca è finita per sempre.

Ben presto il Casino Civico diventa la vera sede della Rimini che conta. Così lo descriveva il padre di Carlo, Luigi Tonini, nella sua “Guida del forestiere nella città di Rimini” (1864): “Sale del Casino Civico, e Gabinetto di Lettura. Qui è lo sbocco di Via Gambalunga, una volta detta del Rigagnolo o riolo della Fontana, su cui nel 1295 venero fatti i serragli (oggi diremmo le barricate), e si combattè tre giorni fra i Parcitadi e i Malatesti. E qui a sinistra sono le sale della Società del Casino Civico, abbellite in origine, soprattutto quella da ballo, da graziosi affreschi del riminese Marco Capizucchi, ora perduti nell’ultimo ristauro. Ivi, ricco di molti Giornali, è un Gabinetto di lettura, con Bigliardo”.

Di lì a poco, nel 1873, Ruggero Ugolini presenta così il luogo nella sua “Guida ai bagni di Rimini”: “Ma poichè bisogna supporle tutte, supponiamo che, uscendo dal Caffè del Commercio, si volga a sinistra. Allora la prima via che s’incontra, fatti pochi passi, è la Via Gambalunga. In principio di questa e precisamente al n. 1114 trovi il Casino Civico. Le splendide sale di questo Casino vengono schiuse, durante la stagione estiva, a geniali ritrovi e alla danza, e il bon-ton, il buon gusto e l’allegria ne fanno le spese. Annesse al casino Civico vi sono alcune Sale da giuoco e un Gabinetto di lettura ricco di molti giornali politici e periodici scientifici e letterari”.

1903: medaglia commemorativa per il primo centenario della Società del Casino Civico di Rimini

Il Casino Civico conduce la sua vita per un secolo e mezzo. Nel 1888 si trasferisce di pochi passi sempre in via Gambalunga quando tutti gli edifici dell’isolato dell’odierna piazza Ferrari vengono demoliti per far spazio al “giardino di rispetto” della Cassa di Risparmio. Viene poi completamente distrutto dai bombardamenti che la città subisce fra il 28 e il 30 dicembre 1943.

La sede si sposta di nuovo: ancora in via Gambalunga e sullo stesso lato della strada, ma nei pressi dell’angolo con Corso D’Augusto e piazza Cavour. Infine trasloca nella sede attuale, che già era quella estiva, in viale Amerigo Vespucci 12. Fra i presidenti ebbe anche l’avvocato Luigi “Titta” Benzi, l’amico fraterno di Federico Fellini che ne fece protagnista del suo Amarcord. Eletto nel 1968, “Titta” fu sempre fiero di qualla carica.

(in apertura, Paul Cézanne, “Giocatori di carte” (Les joueurs de cartes), 1890-1895, olio su tela, 47,5 x 57 cm. Parigi, Musée d’Orsay)

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