Il 3 febbraio tutte le Chiese cristiane commemorano San Biagio (Sebastea d’Armenia, III secolo – 3 febbraio 316), vescovo e martire.
Secondo la tradizione Biagio, (dal latino Blesus, “balbettante”, nomignolo attribuito comunemente agli stranieri: l’Armenia era allora un regno indipendente dall’impero romano, convertitosi al Cristianesimo ancor prima di esso) era in origine un medico. Sarebbe stato torturato dai romani di Licinio con pettini di ferro per cardare la lana e poi decapitato. Fra i suoi miracoli, l’aver salvato dalla morte un bambino che aveva ingoiato una lisca di pesce. Si ritiene che questo prodigio alluda a una guarigione dalla difterite, una delle principali cause di morte dei bambini fino al ‘900, prima delle vaccinazioni.
San Biagio è pertanto invocato contro ogni mal di gola: è tra i quattordici “Santi ausiliatori”. Durante la sua celebrazione liturgica, in molte chiese i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando ad esse due candele, spesso benedette il giorno prima, quello della Candelora. E’ stato eletto a patrono da otorinolaringoiatri, pastori, agricoltori, cardatori, fiatisti, materassai e “in mancanza di un santo patrono a loro dedicato, a cavallo tra il 2013 e il 2014 alcune équipe d’animazione l’hanno eletto a protettore, indicandolo come patrono degli animatori” (Wikipedia).
“Sen Svir par prim, Senta Maria Candlora, Sen Bies cavalir, la Madona de fug”, San Severo per primo, Santa Maria Candelora, San Biagio cavaliere, la Madonna del Fuoco: in questa filastrocca romagnola che ricorda i primi quattro giorni di febbraio, San Biagio è definito “cavaliere”, il che ne attesta l’antichità. L’Ordine religioso e militare dei Cavalieri di San Biagio e della Vergine Maria fu istituto in Palestina da Guido di Lusignano (1150-1194), re di Gerusalemme e poi di Cipro: uno degli ordini cavallereschi nati durante le crociate, come i Templari e i cavalieri di San Giovanni. Ma l’Ordine di San Biagio non sopravvisse alla fine della regno dei Lusignano su Cipro, nel 1489.
“Par San Bies, do or sques”, per San Biagio due ore quasi di luce in più per il giorno: più un auspicio che la realtà astronomica.
Però, sempre nel Ravennate, “Par San Bies, da e’ fred us mor sques”, per san Biagio si muore quasi di freddo. E nel Riminese può anche succedere che “Sen Bies, e’ porta la niva me nes”, San Biagio fa arrivare la neve al naso.
San Biagio è veneratissimo in tutta la cristianità e solo in Italia è patrono di almeno 150 località, mentre diverse decine affermano di possederne le reliquie, dato che parte suo corpo sarebbe giunto nel 732 a Maratea e quindi suddiviso fra moltissimi santuari.
Dalle nostre parti, San Biag è patrono di Misano, oltre che di Sassofeltrio e Monte Cerignone in Valconca. Lo era anche di Saludecio, prima che subentrasse Sant’Amato Ronconi, il cui corpo è venerato nella splendida chiesa parrocchiale dedicata appunto a San Biagio. Il santo armeno ha una chiesa anche a Montescudo, il cui patrono è peraltro San Sebastiano, suo probabile compatriota. A Rimini esisteva una chiesetta dedicata a San Biagino nel Rione Montecavallo.
Ma in tutto l’Adriatico e oltre se si diceva “San Biagio” significava “Ragusa”. Il santo armeno è infatti patrono di quelle che dal 1919 si chiama Dubrovnik. La bandiera stessa della libera Repubblica di Ragusa, durata dal 1358 al 1808, altro non era che l’immagine di San Biagio.
Strettissimi e da sempre i rapporti delle città costiere adriatiche come Rimini con Ragusa. Sigismondo Malatesta vi aveva cospicue proprietà e non era l’unico. Navi ragusee toccavano tutti i porti del Mediterraneo alimentando un’economia fiorente, quanto sospetta agli occhi degli occidentali in quanto protettorato del Sultano dopo esserlo stata di Venezia. “Raguseo” si diceva all’avaro e allo strozzino, al bugiardo e allo speculatore. La meravigliosa città dalmata con il suo stato franco faceva però comodo a tutti: crocevia di traffici e di spie, di artisti e di culture.
Nel 1711 nacque a Ragusa Ruđer Josip Bošković, ovvero Ruggero Giuseppe Boscovich, gesuita, astronomo, matematico, fisico, filosofo, diplomatico e poeta. Tristi polemiche sulla sua nazionalità si trascinano ancora oggi, tanto gloriosa e contesa è la sua memoria. Il presidente croato Franjo Tuđman chiese che il monumento a Boscovich a Milano indicasse il nome e cognome in grafia croata, nonostante in vita Boscovich avesse polemizzato con chi voleva cambiargli il nome. Al rifiuto, Tuđman cancellò la prevista visita ufficiale in Italia, limitandosi a recarsi alla “mostra dell’arte rinascimentale croata” in Vaticano.
Illuminista e accademico cosmpolita, il gesuita chissà come avrebbe trattato tali ripicche nazionalistiche. Figlio di un serbo dell’Erzegovina e di una bergamasca residente a Spalato, da buon raguseo scriveva in croato come in italiano, in latino come in francese. Vissuto quasi sempre in Italia, ebbe fama immensa in tutta Europa.
Assieme al collega e confratello gesuita Christopher Maire, papa Papa Benedetto XIV, l’illuminato bolognese Prospero Lambertini, nel 1751 gli affidò la campagna di rilevamento per la misurazione dell’arco di meridiano tra Roma e Rimini, che doveva servire a definire l’esatta forma del globo terrestre, se perfettamente sferico o schiacciato ai poli come qualcuno congetturava. Nel 1764 Boscovich tornò a Rimini su invito dei Deputati del Porto per avere il suo consulto su come salvare l’approdo dal perenne insabbiamento. Nonostante l’opera “Memorie sopra il Porto di Rimini” (1765) non se ne fece nulla e anzi pare che qualcuno volesse assassinarlo sulla via del ritorno a Roma, oltre a suscitare le ostilità di Giovanni Bianchi-Jano Planco e di parte del clero locale e romano.
Rimini gli dedica il piazzale del porto, uno dei luoghi più amati dai cittadini.