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29 febbraio – “An bisest, che pasa prest”

“An bisest, che pasa prest”, “An bisest tutt’al robi ad travers”, “Ann bisesta u’n sposa e u’n s’inesta”: anno bisestile, che passi presto, tutte le cose di traverso, non ci si sposa e non si innesta. Solo alcuni dei tanti proverbi dialettali sulla sfortuna che toccherebbe all’anno che viene ogni quattro, quando febbraio ha 29 giorni invece che i soliti 28.

Ma perché dovrebbe essere così? Perché lo si è creduto fin dall’inizio, quando Giulio Cesare, nel riformare il calendario, per pareggiare i conti con le sei ore circa che ”avanzano” ogni anno dai 365 giorni canonici, seguendo i calcoli dell’astronomo Sosigene di Alessandria, introdusse un giorno in più ogni 4 anni, subito dopo il 24 febbraio. E poiché il 24 febbraio in latino era il ”sexto die ante Calendas Martias’‘, quel giorno diventò il ”bis sexto die”, da cui il ”bisestile” che passò indicare l’intero anno.

Ma ancora non si capisce come mai questo avrebbe dovuto portare male, se nonché per i Romani si era nel pieno dei Feralia, lasso di tempo dedicato ai defunti. Ma anche delle Terminalia dedicate a Termine dio dei Confini e delle Equirie, gare di carri da guerra trainati da cavalli istituita da Romolo e dedicata a Marte, che avvertiva la prossima ripresa delle attività militari: avvenivano nel mese del dio e cioè in Marzo. Tutte celebrazioni che avevano a che fare con la conclusione di un ciclo cosmico, con la morte e con la fine. E aumentare di un giorno questo periodo luttuoso non suonava affatto gradito. 

Senza contare che per i Latini, come per tutti i popoli mediterranei, ogni anomalia era sentita con estremo sospetto: dalle comete ai capelli rossi, qualsiasi differenza dal consueto non poteva che essere in peggio e quindi veicolo di sventura.  “Que no tienes noticias”, che tu non abbia novità, ci saluta fra gli iberici, perché le novità non possono essere che cattive. E del resto, anche oggi nei media “la buona notizia non fa notizia”, perché si sa che pochissimi la leggeranno, preferendo la stragrande maggioranza di noi crogiolarsi nelle notizie pessime.

Riguardo il 29 febbraio, fu Papa Gregorio XIII a designarlo come il giorno in più dell’anno bisestile. Il pontefice bolognese dovette prendere atto che continuando a seguire il calendario di Giulio Cesare si rischiava di celebrare la Pasqua in estate, perché c’erano differenze fra i calcoli ufficiali e l’effettiva movimento del sole. Nel 1582 eliminò dunque tre anni bisestili ogni 400 (quelli d’inizio secolo) e si passò di botto dal 4 al 15 ottobre. Ed è il calendario gregoriano che seguiamo tutt’ora, trascinandoci però dietro tutte le superstizioni che l’hanno preceduto.

Eppure non è ovunque così. Nei paesi di tradizione celtica l’anno bisestile è invece considerato un anno fortunato. Lo stesso 29 febbraio, (“leap day,” il giorno del salto), in Irlanda è il giorno in cui sono le ragazze che possono chiedere al ragazzo di sposarle, invece che il contrario. Chi non accetta deve pagare 12 paia di guanti, uno al mese, per nascondere la mano della giovane ancora senza fede. L’eccentricità ha del resto sempre affascinato i popoli dei drudi: non a caso sono loro che ci hanno convinto che l’anomalo quadrifoglio porti fortuna.

Purtroppo a voler dar ragione al pessimismo dei mediterranei ci ha pensato il caso: sono accaduti in anni bisestili il terremoto di Messina (1908), quello del Belice (1968), lo tsunami nell’Oceano Indiano (2004). Anche coronavirus? No, era già in giro nel 2019.

 

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