Come oggi destra e sinistra talvolta – o secondo certuni – diventano concetti vaghi, allo stesso modo nel Medio evo la spaccatura fra Guelfi e Ghibellini poteva sfumare in mille variabili, coomprese alleanze fra acerrimi nemici, specie se di fronte a un avversario comune.
E’ il caso degli avvenimenti del 1287-88 a Rimini e dintorni. Per le alterne vicende comunali, in città in quel momento dominano i ghibellini Parcitade, che riescono a far eleggere podestà Vanne de’ Monaldesi il quale espelle e fa dichiarare banditi Malatesta da Verucchio e i suoi figli.
Ma questi non se ne danno per vinti e il vecchio Malatesta spariglia le carte: propone un accordo a Corrado da Montefeltro conte di Pietrarubbia, uno dei principali capi ghibellini e certo quello con più gente armata in zona, «col quale pure bollivano rancide ire».
L’offerta è quella di un matrimonio: Malatestino (“Tino”) figlio Giovanni lo zoppo e della povera Francesca (probabilmente morta da non molto) e allora «infante», avrebbe sposato Agnese, figlia del Conte Corrado. E a riprova di quanto tali patti fra cane e gatto fossero frequenti, ad accordo raggiunto occorre una dispensa papale, perché i futuri sposi sono già consanguinei di quarto grado. Dispensa che arriva puntualmente, poiché al papa Niccolò IV non pare vero che due piantagrane del genere facciano pace.
Peccato che appena le milizie ghibelline del Montefeltro si allontanino, il Malatesta – spalleggiato dal Conte di Romagna, Ermanno de’ Monaldeschi da Orvieto – si dia a devastare il contado di Rimini e ad assaltare i castelli che hanno confermato la loro sottomissione al Comune. Montescudo viene presa d’assalto, conquistata e “ripulita” dei Ghibellini che vi si trovano. Malatestino “dall’occhio” (fratello di Giovanni “Gianciotto” e da non confondersi con l’omonimo e succitato “Tino”, figlio di quest’ultimo) prende Auditore e la dà alle fiamme, dopo averne scacciato Martino e Rizio che ne erano signori e sodali dei Parcitadi.
I Ghibellini riminesi, ancorché isolati e a loro volta banditi da tutta la Romagna, reagiscono e nel riprendere Montescudo catturano Malatestino, che viene gettato in carcere insieme a Filippuccio da Jesi.
A nulla valgono le missive papali che impongono a tutti di piantarla. Anzi, le feste di Natale del 1288 verranno ricordate in certi paesi come fra le peggiori mai trascorse. I ribelli Malatesta si sono presi con la forza Santarcangelo, Saludecio, Meleto, Mondaino e Montepettorino.
E il 26 dicembre quelli di Saludecio e Mondaino vanno a regolare i conti con Montegridolfo, che restava obbediente al Comune di Rimini. Serbadone e Vallesoletta sono assalite e devastate. Poi viene saccheggiata la chiesa di S. Pietro a Montegridolfo, dove vengono bruciati i libri e i paramenti sacri, «e rubata e guasta ne fu una casa e cantina di tal Bonaccorso, e abbruciate le case ad altri molti». Intanto, militi del Conte di Romagna danno fuoco «in Montalbano a una selva di un tal Guarnerio abitatore di Rimini».
E le scorrerie continuano nei giorni seguenti. Il 30 dicembre quelli di Saludecio e Meleto «ebbero saccheggiata ed abbruciata pure una casa e una cantina di tal Deutaide di Monte Gridolfo, tagliate molte piante, e fatti altri danni». Il primo e il 2 di gennaio il malcapitato è Giovanni Accattoli di Vallesoletta presso Serbadone, che si vede bruciata la casa con tutte le masserizie e il pagliaio.
Ad ogni guerra o guerriglia corrisponde prima o poi un accomodamento. Nel 1289 e come quasi sempre, anche questa volta la pace corrisponde al ritorno di alle posizioni di partenza: chi ha dato, ha dato…
Nel frattempo, Corrado da Montefeltro è tornato a rappresentare per i Malatesta un pericolo da eliminare, poiché il temporaneo alleato e futuro parente si è preso Urbino e Pesaro. E quindi soffiano sul fuoco di un complotto il cui esito è così registrato negli Annali di Cesena: «A di 8 giugno 1289 i fedeli del conte Corrado di Pietra Rubia, figlio del conte Taddeo, il naturale loro signore dentro il castello uccisero; uccisero pure un bambino di esso Corrado; la sorella dell’uno e dell’altro signore; Filippo, natural fratello del detto conte spensero; la moglie del detto conte per lungo tempo tennero in prigione, finché non furono certi che non fosse gravida, perché di lui non rimanesse seme».