Il 25 aprile 1809 sui muri di Rimini appare un proclama del Vicerè d’Italia, Eugenio di Beauharnais. È scritto in italiano e francese; brevemente vi si dichiara “come andasse a combattere i nemici dell’augusto suo padre, i nemici della Francia e dell’Italia: i popoli del regno conservassero nella sua lontananza quello spìrito eccellente, del quale aveaigli date tante prove: in qualunque luogo egli fosse per trovarsi, essi avrebbero occupata sempre la sua memoria ed il suo cuore”.
Insomma, ci siamo daccapo. Napoleone ha iniziato l’ennesima campagna e di nuovo contro l’Austria. Anche se a dir il vero questa volta sono stati gli Asburgo ad attaccare briga, essendo Bonaparte sulla via di impantanarsi in Spagna. Eugenio di lì a poco con le sue truppe in gran parte italiane sconfiggerà gli Austriaci sul Piave (7-8 maggio 1809) e poi a Raab in Ungheria (14 giugno 1809), seppur a caro prezzo.
Poi Napoleone, con perdite ancora più gravi e ribaltando una situazione che pareva disperata, avrebbe schiantato l’Arciduca Carlo d’Asburgo nell’immane battaglia di Wagram (5-6 luglio 1809), l’ultima grande vittoria di Bonaparte: 300 mila soldati e mille cannoni ad affrontarsi, 64 mila fra morti e feriti, 22 mila dispersi o prigionieri.
Fino all’ultimo, dalle nostre parti si era però sperato che questo tutto questo non accadesse. Ma il proclama del Viceré spazza via le ultime illusioni. E le conseguenze, temute e previste, arrivano subito.
Come riepiloga Carlo Tonini, sulla scorta del Zanotti, “Nè tardarono a vedersi tra noi gli effetti della rinnovata guerra sia nelle coscrizioni con febbrile attività eseguite, sia nelle requisizioni dei generi e dei bestiami e di quant’altro facea mestieri ad alimentare gli eserciti”.
Ma c’è un altro problema per Rimini, città di mare: il blocco navale inglese: “E poiché l’Inghilterra perseverando sempre nell’alleanza coll’Austria, minacciava le nostre rive e i nostri porti co’ suoi legni armatori, e alcuni pur ne invadeva come fece di quelli di Pesaro, del Cesenatico e di Fermo, furono qui messi in moto il presidio francese e le guardie civiche, non che tutti gli altri ufficiali e impiegati governativi, i quali correvano armati al porto ed alla spiaggia qualunque volta si mostrasse dall’alto alcun legno nemico che tentasse di avvicinarsi”.
Era infatti in corso quella che gli Inglesi chiamarono Adriatic campaign, accesasi fin dal 1804, sempre più virulenta dopo il 1807 e che sarebbe durata fino al 1814. Con esiti quasi sempre disastrosi per i Francesi e per la Marina Italiana che appena costituita combatteva al loro fianco. Unici successi per i napoleonici furono quelli dei corsari; celebri quelli anconetani, con molti capitani liguri – come il leggendario Giuseppe Bavastro – e armatori anche riminesi. Ma proprio nell’agosto di quel 1809 gli Inglesi avrebbero attaccato il porto di Cesenatico, devastandolo.
In parallelo, la guerra psicologica come sempre assorbe molti sforzi, se non i più: “Nè il comandante della piazza Carlo Biscioni cesenate mancò allora di porgere vivi eccitamenti alle Guardie ed alla gioventù perché corressero alla difetta della patria; e la mattina dell’11 maggio fatta schierare sulla piazza del Municipio la Guardia nazionale e la soldatesca di presidio, e montato a cavallo egli stesso, tenne loro un enfatico discorso tutto adatto alle presenti condizioni: stessero di buon animo; la fortuna essere tuttavia con Napoleone: mentre egli fulminava di nuovo colla guerra la pertinace Austria, non paventassero la costei alleata britannica, che infamemente presumeva di esercitare la tirannide del mare, che solo guerreggiava contro le proprietà dei cittadini, le rapiva, e fuggiva: doversi quindi opporre animosamente tutti gli sforzi alle sue piraterie, a’ suoi attentati, onde calpestava ogni legge d’onore e i più sacri diritti delle genti: doversi in fine mettere in opera ogni mezzo per combatterla, mentre intanto l’immortale Imperatore e Re Napoleone già volava a piantare lo stendardo della vittoria sui bastioni di Vienna. Queste e simili parole del comandante furono salutate con replicati evviva da tutti gli armati che le ascoltavano”.
E mica sono solo chiacchiere: “A maggior sicurezza di questo lido furono qui spedite numerose Guardie civiche del Dipartimento e parecchi artiglieri da Bologna con due pezzi di cannone”.
Se non che, chi doveva provvedere alla sicurezza inizia a essere più temuto e più odiato degli Inglesi e degli Austriaci, almeno dando fede sempre al Giornale di Rimino del notaio Zanotti, sempre riportato da Tonini. E sempre rammentando che quei “Francesi” erano quasi tutti Italiani se non Romagnoli, iniziano da quel comandante cesenate della piazza di Rimini: “Alcuni distaccamenti delle dette Guardie, mandate alla Cattolica e a S. Giovanni in Marignano, vi commisero, così il Cronista, danni infiniti e indegnità le più orribili, insultando e mettendo in pezzi nelle chiese le SS. imagini, e colle corporali immondezze contaminando persino nelle pile l’Acqua Santa, per nulla dire degli attentati alla onestà femminile, e di simili bassezze e abominazioni: onde parecchie di esse furono arrestate, ma poscia scusate e rimesse in libertà, attribuendosi ad effetti di ubbriachezza quegli eccessi. Nè la città nostra medesima in quelle congiunture fu esente da inquietudini per tale cagiona, perchè quei soldati la percorrevano ebbri e dissennati, gridando — Viva il Dio Napoleone, nostro Imperatore, il più grande, il più santo della terra: e in omaggio a questa novella divinità commettevano eccessi che riferir non si potrebbero senza arrossire. E intanto i legni armatori Inglesi vie più si moltiplicavano nel nostro mare e cagionavano grandi pene e timori a queste contrade”.
(nell’immagine in apertura: il vascello francese Rivoli appena costruito a Venezia attaccato e catturato dall’inglese Victorious nelle acque di Pirano. 21-22 febbraio 1812)