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24 maggio 1915 – A Rimini la Grande Guerra inizia subito: gli austriaci ci prendono a cannonate

“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio, dei primi fanti il 24 maggio…”.

Mentre il Piave mormora, all’alba del 24 maggio 1915 un dirigibile compare nel cielo di Rimini. Sembra sostare in particolare sopra il ponte di ferro sul quale i treni della linea Bologna-Ancona superano il porto del Marecchia. La gente crede si tratti di un’ispezione delle nostre forze armate.

Più tardi si odono quattro colpi di cannone. Di nuovo, i più pensano a un’unità italiana, una nave che sta forse salutando a salve l’entrata in guerra dell’Italia, appena dichiarata.

24maggio

Invece, a circa 2 km della costa, c’è l’incrociatore corazzato austro-ungarico St. Georg appoggiato da due siluranti. E continua a sparare bordate con i suoi Škoda da 238, 190 e 149,1 mm. Non a salve.

L'incrociatore corazzato St. Georg

L’incrociatore corazzato St. Georg

Dall’incrociatore partono esattamente 54 cannonate. Obiettivo, proprio il ponte della ferrovia di cui quel dirigibile creduto amico ha evidentemente fornito le coordinate di tiro.

Il bombardamento provoca un morto, Augusto “Merighi” secondo il rapporto ufficiale. In realtà la vittima si chiama Menghi, come rivelò Arturo Menghi Sartorio in un convegno del Rotary Club: era suo parente e a causa di un refuso il cognome venne consegnato alla storia in modo storpiato.

O meglio, l’avesse o no già detto Eschilo 2.500 anni fa Eschilo“prima vittima della guerra è la verità” – secondo i comunicati ufficiali italiani del primo giorno di guerra, quel morto nemmeno esiste. Così almeno recita il  bollettino “firmato Cadorna” del 24 maggio, primo di una serie destinata a divenire insopportabilmente lunga: «Alle 4 circa la nave (un incrociatore) che distava pochi chilometri dal porto, iniziò il bombardamento a palla e con granate di grosso calibro, coll’obbiettivo, pare, di distruggere la ferrovia e un ponte sul bivio ferroviario Rimini-Ferrara-Rimini-Bologna, ove il danno fu maggiore. Venne abbattuta una abitazione, altre furono danneggiate e rimase smossa la terra nelle vicinanze. La nave sparò qualche colpo anche contro la città, ma senza produrre danni gravi; poi, verso le 5, cessò il fuoco e fuggí inseguita, pare, da nostre navi».

In realtà non c’è stato alcun inseguimento e navi italiane nessuno le ha viste. Né davanti a Rimini, né quasi da nessuna parte lungo tutta la costa da Venezia a Barletta. Infatti, il 24 maggio la squadra imperial-regia uscita da Pola ha bombardato pressoché indisturbata tutta la sponda italiana dell’Adriatico.

Laddove qualche unità italiana reagisce, le prende di santa ragione. Come il cacciatorpediniere Turbine che va a immolarsi a sud di Pelagosa cercando di tagliare la ritirata di un incrociatore leggero classe Helgoland e quattro cacciatorpediniere che avevano attaccato Barletta. Si trova invece preso in mezzo da altre unità nemiche più pesanti che navigano al largo. Dopo nemmeno un’ora di tiro al bersaglio e 10 morti, l’equipaggio italiano è costretto ad affondare la propria nave ormai ridotta a un colabrodo, con le caldaie sfondate e immobilizzatata. Quasi tutti feriti, ne moriranno altri due compreso il comandante Bianchi. In 32 finiscono prigionieri a Sebenico, 9 sono salvati da navi italiane.

I danni più gravi li subisce Ancona, la più importante base della flotta italiana in Adriatico, con 63 morti tra militari e civili; colpito anche il cantiere navale, mentre la cappella del Santissimo Sacramento del Duomo di San Ciriaco riceve otto cannonate austriache.

Il bombardamento di Ancona in una cartolina di propaganda austriaca

A Rimini oltre al morto c’è anche un ferito, la sentinella del ponte ferroviario: il soldato Nicola Dinanno, 37 anni, della IV compagnia Costieri, colpito al capo ed alle gambe, ma “prima di essere sostituito non abbandona il posto di guardia”.

Il conte riminese Gaetano Facchinetti Pulazzini, magistrato, ex sindaco, all’epoca deputato e futuro senatore, rassicura il capo del governo Antonio Salandra: l’aggressione subìta «ha altamente ravvivato lo spirito pubblico». Inoltre, «Rimini patriottica e marinara, pure attraverso i pericoli» del momento, guarda «serena e sicura al glorioso domani». Salandra risponde di essere «compiaciuto vivamente delle condizioni di spirito pubblico della forte cittadinanza riminese».

Gaetano Facchinetti Pulazzini

Gaetano Facchinetti Pulazzini

Il sindaco in carica di Rimini, il marchese Adauto Diotallevi proclama: «Nessuno scoramento, nessuna trepidazione, perché le sorti della Patria sono affidate al valore dei nostri soldati di terra e di mare». Pochi giorni dopo, fa sapere ancora Facchinetti, «partiva da Rimini per la guerra un forte numero di giovani volontari».

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