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24 giugno 1475 – Roberto Malatesta sposa Elisabetta da Montefeltro

Il 24 giugno 1475 Roberto Malatesta sposa Elisabetta, figlia secondogenita di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, e della seconda moglie Battista Sforza, figlia di Alessandro Sforza.

Roberto Malatesta

Roberto Malatesta

Elisabetta ha 13 anni, essendo nata a Urbino nel 1462; il nome le deriva dalla bisnonna materna. Come le sorelle Giovanna, Costanza, Aura, Girolama e Agnese, era stata battezzata dal cardinale Giovanni Bessarione, il celebre umanista di Costantinopoli che viveva ormai in Italia. Roberto invece ha passato i 30 anni, essendo nato nel 1442.

Il cardinal Bessarione (Urbino, palazzo ducale)

Il cardinal Bessarione (Urbino, palazzo ducale)

Malatesta e Montefeltro insieme. Si è ribaltato il mondo? In realtà, i matrimoni fra le due famiglie rivali erano avvenuti spesso anche in passato. Ma questa volta si tratta di una vera alleanza, a lungo maturata e fortemente voluta da entrambi.

Dopo il tracollo e la morte di Sigismondo, il suo arcinemico Federico non ha alcun interesse a veder scomparire del tutto lo stato malatestiano. Nonostante la sua fedeltà ai Papi, il Duca sa benissimo che Roma continuerà nel suo sforzo secolare di ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite, ovvero di riportare sotto il proprio governo diretto tutti quei territori che era stata costretta a lasciare all’amministrazione, se non all’arbitrio, dei signorotti locali. E se i tempi non sono ancora maturi per un governo centralizzato di Roma, tuttavia sul seggio di Pietro non siede quel Sisto IV? Il già Francesco della Rovere sta brigando in ogni modo per dotare suo nipote Girolamo Riario di uno stato tutto suo fra Romagna, Marche e addirittura Firenze!

Grazie allo zio, Girolamo aveva sposato Caterina Sforza, figlia naturale di Galeazzo Maria; si rivelera una delle più grandi figure femminili della sua epoca. Sempre il papa fa sì diventino signori di Imola, non senza aver pensato alla stessa Rimini. Poi il Riario nel 1478 sarà colui che organizzerà la congiura de’ Pazzi per assassinare i Medici. Vi prenderà parte anche Federico da Montefeltro, ma con abilità e discrezione da par suo: la sua complicità, mai sospettata da alcuno, emerse solo nel 2003, quando Marcello Simonetta decifrò un messaggio in codice del Duca.

Ma quei fatti devono ancora accadere. Intanto è bene che i signori locali restino numerosi e possibilmente faccian fronte comune contro le pressioni pontificie. E il momento per farla finita con l’ostilità verso Rimini è dei più propizi. La città rivale, sebbene più grande e più ricca di Urbino, è ridotta a controllare poco più del suo contado: non più una minaccia, nè in grado di allearsi alla pari. Non bastasse, Federico stima molto il figliastro di Sigismondo: si è dimostrato nn solo combattente abile e tenace, ma in politica ben più avveduto del padre. Anche lui si è giocato qualche volta il tutto per tutto, ma sempre cavandosel egregiamente. Come quando, nel 1468, ha saputo conquistarsi la signoria dosando astuzia a forza.

Roberto Malatesta (Cappella Sistina, dettaglio del "Passaggio del Mar Rosso")

Roberto Malatesta (Cappella Sistina, dettaglio del “Passaggio del Mar Rosso”)

Alla morte di Sigismondo, Papa Paolo II aveva inviato Roberto per riconquistare Rimini in nome della Santa Sede, invece di lasciarla all’erede designato Sallustio sotto la tutela di sua madre (adottiva) Isotta degli Atti. Confidava forse nel risentimento: il padre lo aveva escluso dal testamento sebbene primogenito e senza mai sanare il suo stato di figlio illegittimo, come invece era accaduto al fratello minore Sallustio e prima ancora allo stesso Sigismondo. Roberto e Sallustio erano infatti entrambi figli dell’amante fanese di Sigismondo Vannetta de’ Toschi.

Roberto entrò in Castel Sismondo travestito da contadino ed effettivamente si impossessò della città in nome della Santa Sede. Ma subito dopo si autoproclamò signore di Rimini rinnegando i patti con il papa, dal quale era stato anche finanziato per l’impresa. Si eresse a tutore della matrigna Isotta e dei fratelli, non contestando i loro diritti successori. Seppe portare dalla sua popolo e nobiltà, coltivare appoggi nelle corti piccole e grandi. Venezia naturalemente mantenne in città 200 fanti giunti alla morte di Sigismondo “per difenderla”, innanzi tutto proprio da Paolo II. Incredulo quanto sdegnato, il Papa veneziano mosse la guerra, inviando contro Rimini un esercito capitanato da Napoleone Orsini.

I pontifici nell’estate del 1469 occuparono e devastarono i borghi di San Giuliano, Marina e San Bartolo (San Giovanni). Furono sparati sulla città e Castel Sismondo più di mille colpi di “bombarde grosse”, ma Roberto non mollò nonostante oltre due mesi di durissimo assedio. E Federico fu lieto di inviare i suoi in soccorso, che sotto l’abile guida di Roberto uscito dalle mura in una furibonda sortita, costrinse l’esercito di Santa Romana Chiesa alla fuga.

Napoleone Orsini

Napoleone Orsini

Forse si iniziò a parlare del matrimonio di Elisabetta già da allora. Ma intanto, il ventenne Sallustio venne trovato assassinato, si disse “per questioni di cuore” Poi toccò all’altro erede designato Valerio Galeotto, figlio dell’ennesima amante di Sigismondo e anch’egli inserito nel testamento e”adottato” da Isotta; prima accusato di tradimento, poi prosciolto, quindi trovato morto si disse “per mano di briganti”.

Isotta si fece da parte e poco dopo morì anche lei, “di febbre improvvisa e violenta”, il 9 luglio 1474. Roberto era il signore incontrastato. Succesore di Paolo II dal 1471, Sisto IV lo aveva riconosciuto ufficialmente. Si poteva permettere di beffare anche Venezia, licenziando senza riguardi la guarnigione che l’aveva aiutato e varando una politica economica necessaria all’esausta città quanto opposta agli interessi della Serenissima. Ora si poteva pensare serenamente alle nozze, a favore delle quali si muoveva anche il marchese di Mantova, Ludovico III Gonzaga. Il duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, in qualità di capofamiglia del ramo materno di Elisabetta aveva dato il suo consenso scritto fin dal 29 gennaio 1471.

Sulla data esatta delle nozze le fonti non concordano: chi dice il 24 giugno, chi il 25, chi le anticipa a fine aprile. Di certo, furono celebrate nella cattedrale di Santa Colomba con uno sfarzo inaudito: i festeggiamenti si protrassero sino al 2 luglio e vi prese parte la maggior parte delle principali potenze regionali italiane, in testa quelle della Romagna e della Marca.

Unica ombra – ma non sappiamo nulla dei reali rapporti fra madre e figlio – il 30 giugno a Meldola venne a mancare Vannetta de’ Toschi. Aveva 56 anni e anche lei, fra un festa e l’alra, fu sepolta con tutti gli onori nel Tempio Malatestiano, accanto alle altre donne di Sigismondo.

Galeazzo Maria Sforza nel ritratto di Pietro del Pollaiolo

Galeazzo Maria Sforza nel ritratto di Pietro del Pollaiolo

Gaspare Broglio scrisse che il tutto costò la bellezza di 45 mila ducati.  Una cifra che viene ritenuta esagerata ad arte per esaltare una magnificenza ancora intatta della corte malatestiana, in verità un po’ in angustie. Più attendibile un anonimo cortigiano di Leonardo Della Rovere, nipote di papa Sisto IV, che trascrisse da una lista ufficiale le spese sostenute nella settimana compresa tra il 23 e il 30 giugno 1475. Ne risulta comunque la non piccola somma di 30 mila ducati fra i regali ricevuti dagli sposi, gli approvvigionamenti, le portate servite e gli apparati culinari del pranzo nuziale.

Piero Meldini ha descritto da par suo quel pranzo nuziale:

L’esordio fu a base di granitiche schiacciate di pinoli e mandorle (“pinochiati” e “marzapani”), torte d’erbe e formaggio, arrosto freddo al “savore verde” (antenato diretto della nostra salsa verde) e capponi lessi al “savor biancho”, una delicata salsa alle mandorle, uova e agresto.

Seguirono, col secondo servizio, torte dolci-salate, prosciutto cotto nel vino, arrosto di fagiani e pavoni in salsa “di pavo” (è la nota “salsa peverada”, a base di fegatelli, crosta di pane, uva passa, aceto e spezie), crostate ed anatre in “salsa ginestrina” (specie di raffinata mostarda allo zenzero e zafferano: donde il nome, che richiama il giallo della ginestra).

Dopo aver fatto rifiatare i commensali con un’insalata di radici amare, si introdusse il terzo servizio, che comprendeva storioni lessi accompagnati dal “sapore” (una salsa ottenuta dal mosto), arrosto di pesce “grosso” alle arance, ostriche, marzapani, frutta. Il banchetto si chiuse con un quarto ed ultimo servizio di cialde, frutta confettata e “calisoni”: ravioli dolci farciti di pasta di mandorle. A fine pranzo, mentre si aprivano le danze, si distribuirono frutti di terra e di mare in zucchero, e si esibirono i “trionfi”, di zucchero anch’essi: putti, cavalli, elefanti (simbolo araldico dei Malatesti) e quattro autentici capolavori d’arte pasticciera che riproducevano la fontana della piazza, l’arco d’Augusto, Castel Sismondo e il Tempio Malatestiano “como doveva essere fornito”, cioè secondo il progetto definitivo dell’Alberti. Peccato che di questo effimero e dolce Rinascimento non si sia conservato nulla.

I banchetti rinascimentali – com’è noto – non sono puri eventi gastronomici, ma pranzi-spettacolo e dimostrazioni di ricchezza e magnificenza. Lo spreco è perciò programmatico. Il convito nuziale di Roberto e Isabetta – dove, fra l’altro, si consumarono 8.600 paia di polli, 45.000 uova, 180 prosciutti, 40 forme di parmigiano, 13.000 arance e 120 botti di vino – costò la bellezza di 30.000 ducati: una cifra da capogiro, ma “investita” nella celebrazione di un matrimonio che era anche l’atto di riconciliazione di due potenti famiglie già mortalmente nemiche.

Sandro Botticelli: Il matrimonio di Nastagio degli Onesti e Monna de’ Traversari (1483)

Ad appena pochi giorni dalle nozze, il 5 luglio, i festeggiamenti cittadini si rinnovano per la nascita di Pandolfo, figlio di Roberto Malatesta e della sua concubina, Elisabetta Aldobrandini. Tutto in pubblico e senza il minimo scandalo, come usava allora. Non solo; a dispetto degli obblighi coniugali, Roberto non interrompe la relazione con l’Aldobrandini, mentre da Elisabetta nasce una sola figlia, Battista, che morirà nel 1492.

L’erede sarà dunque Pandolfo, destinato a divenire Pandolfaccio.

Roberto Malatesta muore il 10 settembre 1482.  Elisabetta cerca di salvaguardare i suoi diritti e soprattutto la sua dote, equivalente a 12 mila ducati d’oro, ma per riaverli dovrà attendere diversi anni. E gli altri eredi non vogliono nemmeno riconoscerle la proprietà di alcuni regali nuziali.

Roberto Malatesta

Roberto Malatesta

Alla fine Elisabetta è costretta a lasciare Rimini e a ritornare a Urbino, dove si va a consacrare alla vita religiosa con il nome di suor Chiara Feltria. Qui si prodiga per l’edificazione del monastero dell’osservanza di S. Chiara, fondato nel 1456 per volere di suo padre.

Santa Chiara a Urbino

Santa Chiara a Urbino

Ma nemmeno nella sua città trova pace. Nel 1502 le peggiori previsioni di Federico si avverano e Cesare Borgia, il Duca Valentino, scaccia in nome del papa (suo padre Alessandro VI) i Montefeltro da Urbino come già aveva fatto con i Malatesta e tutti gli altri signori romagnoli. Elisabetta viene strappata dal monastero, tenuta in ostaggio e poi scambiata con due prigionieri spagnoli caduti nelle mani degli urbinati.

Elisabetta si rifugia allora a Venezia nel cenobio di S. Francesco della Croce, dove resta fino al novembre 1503; il mese seguente torna a Urbino, rientrata nel dominio dei Montefeltro all’indomani del crollo dei Borgia.

Cesare Borgia (?)

Presunto ritratto di Cesare Borgia

Dopo tutto questo, la vicenda dell’eredità e della dote è ancora lontana da una soluzione, nonostante Elisabetta volesse impiegare parte della somma nella fondazione di opere pie anche a Rimini. Solo nel 1515 e dopo essersi appellata l’anno prima direttamente al Consiglio riminese, la vedova di Roberto ottiene quanto le spetta, equivalente al possesso della splendida fattoria fortificata di Castelleale, fondata nel 1385 dal vescovo Leale Malatesta, insieme con molti altri beni.

La possessione di Castelleale nel catasto Calindri (762/1764)

La possessione di Castelleale nel catasto Calindri (1762/1764)

Il ritardo la costringe a desistere dal pio progetto di istituire a Rimini, nel palazzo del Cimiero, da lei ricevuto in permuta dal Comune (2 novembre 1517), un monastero Mendicantium primae regulae come si ricava anche dal breve inviato il 13 dicembre 1517 da papa Leone X al provinciale degli osservanti di Romagna; nel 1530, quindi, il palazzo torna al Comune. Diverrà in seguito il Vescovado; danneggiato durante la seconda guerra mondiale, verrà raso al suolo nel 1962 per far posto a palazzo Fabbri, in Piazza Ferrari.

Il Vescovado di Rimini, già palazzo del Cimiero

Il Vescovado di Rimini, costruito nel ‘700 sul quattrocentesco Palazzo del Cimiero

Intanto Elisabetta entra nel convento di S. Bernardino di Ferrara. Ed è qui, e non a Urbino, che probabilmente muore, in una data sconosciuta sul finire degli anni venti del Cinquecento.

Il matrimonio di Roberto ed Elisabetta è stato rievocato dall’11 al 16 luglio 2006. Nel centro storico di Rimini sono andate in scena manifestazioni itineranti di giullari, trampolieri, armigeri, suonatori, danzatori, sbandieratori, duelli, giostre e fuochi pirotecnici, oltre a momenti dedicati alla scoperta della vita dei Malatesta attraverso conferenze, danze rinascimentali, visite guidate a Castel Sismondo, al Tempio Malatestiano e al Museo della città.

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L’abito di Elisabetta come fu ricostruito nel 2006 da Costumi di Scena

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