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22 aprile 1573 – A Covignano un Innominato romagnolo commette un orribile delitto

Il 22 aprile 1573 Lamberto Malatesta ammazza a Rimini, presso Covignano, Francesco Giordano, medico di Urbino. È un delitto su commissione, perché questo Malatesta è un sicario, oltre che molto altro.

Ma ecco come andarono le cose secondo Carlo Tonini:

«Il governo tirannico, che il duca Guidobaldo faceva degli urbinati, costringeva questi a sollevarsi; ma poiché l’oppressore fu più fortunato, se non più forte, degli oppressi, ne segui che la loro sorte divenisse più misera e che fossero fatti segno agli sfoghi delle più crudeli vendette. Fra i molti urbinati, che avevano preso parte ai tumulti e che si erano sottratti colla fuga, fu il giovane Francesco Giordano, valente medico, e, pe’ suoi gentili costumi, a’ suoi concittadini molto caro. Questi condottosi a Roma implorò il patrocinio del Pontefice, e non avendolo ottenuto, passò a Rimini, ove altri urbinati esuli come lui si erano ricoverati».

«Forse il crudele Guidobaldo ne ebbe avviso, e fors’anco vie più infierito dal ricorso, che il Giordano aveva fatto al pontefice, desiderò più che mai di trarne vendetta. Quello che è certo si è, che a’ 22 aprile dello stesso anno l’infelice Giordano fu barbaramente ucciso da Lamberto Malatesta per una strada che andava ai Frati bianchi di Scolca».

«Notissima è la vita di Lamberto Malatesta della branca di Sogliano, che fu di coloro i quali a quei tempi fecero alle strade tanta guerra, e le cui avventure sono state a’ di nostri argomento eziandio di romanzo; e non è improbabile la congettura che quell’omicidio ei lo commettesse per far servigio a Guidobaldo. Ma non possiamo tenere con chi pensò ch’ei ne avesse l’assenso di papa Gregorio, sotto il quale invece fu per sentenza della legazione di Romagna dichiarato reo di omicidio e condannato nei beni, finché poi, regnando Sisto V, ebbe a lasciare i delitti sul patibolo».

Il romanzo cui si riferisce il Tonini è “Lamberto Malatesta o i Masnadieri degli Abruzzi”, scritto dal milanese Giuseppe Rovani e pubblicato fra il 1841 e il 1843. Ma siccome la materia che narra non è più così “notissima” come ai tempi di Tonini, ecco un breve riassunto della carriera di Lamberto. Un curriculum emblematico di quelle epoche, che rassomiglia da vicino a una fedina  penale. Quale Alessandro Manzoni saprà esemplarmente ricostruire in uno dei suoi personaggi più affascinanti: l’Innominato. 

Lamberto nasce dunque nel 1528, probabilmente a Montecodruzzo, di cui il padre Leonida è il Conte. Siamo fra i Malatesta del ramo di Sogliano, distaccatosi da quello riminese fin dai primi del ‘200 e che ancora tengono caparbiamente i loro piccoli e poveri feudi, anche dopo la rovina dei ben più potenti congiunti. La madre è la fiorentina Cassandra Cini di Matteo, che ha altri due figli maschi, Giacomo e Malatesta.

Panorama dalla rocca di Monte Codruzzo

Panorama dalla rocca di Montecodruzzo

Giacomo e Lamberto sono soldati come il padre, ma interpretano il mestiere in modo opposto: tanto Giacomo è valoroso e onorato (combattendo per Venezia finirà anche prigioniero a Costantinopoli, per essere liberato solo dopo Lepanto), quanto Lamberto è nemico di ogni legge, violento e infingardo. Sono però entrambi abili a destreggiarsi nel ginepraio delle signorie italiane e sanno come procurarsi ciò che allora contava sopra ogni cosa: potenti protettori.

Lamberto inizia la carriera militando nelle compagnie di Ferrante Gonzaga. Però aiuta un bandito condannato a morte in diversi stati. Litiga con il fratello Giacomo e gli fa bruciare i raccolti dai suoi masnadieri.

Nel 1551 viene bandito dal papa Giulio III che gli fa demolire le torri e le fortificazioni di Tornano e di Serra. Lui si vendica con incursioni e scorrerie nel cesenate che arrivano fino a Cesenatico. Mette sottosopra Cesena, dove aiuta i Venturelli ai danni dei guelfi Tiberti; suo consigliere è Sempronio Malatesta, parente, sodale in armi e in scelleratezze.

Nel 1573 si offre a Guidobaldo della Rovere, che si trova in difficoltà per la rivolta di Urbino. Per ingraziarsi il duca uccide con le proprie mani diversi ribelli che si sono rifugiati a Rimini, tra i quali vi è appunto Francesco Giordani. Per quanto il clericale Carlo Tonini nel suo racconto stia sul vago, questi delitti non vengono puniti dai pontifici.

Anzi, di lì a poco troviamo Lamberto direttamente al servizio del papa Pio V. Con Gregorio XIII è promosso a “Capitano dei cavalli leggeri”.

Nel 1575 commette un altro delitto a Cagli; viene arrestato a Ravenna ed è condannato a morte: intercedono a suo favore il duca di Urbino ed il fratello Giacomo, per cui la pena viene commutata. E’ però rinchiuso in carcere a Roma.

Ne esce dopo cinque anni, gravemente malato. Sempre grazie a Giacomo, ottiene dai Veneziani un piccolo comando alla guardia di Crema.

Qui però viene accusato di avere coniato moneta falsa e di avere ucciso alcuni nemici personali. Viene pertanto bandito dalla Serenissima.

fiandre

La guerra degli Spagnoli nelle Fiandre in una stampa dell’epoca

Dopo varie peripezie che lo conducono in Spagna e qualche altra carcerazione, nel 1583 viene liberato purché vada a combattere nelle Fiandre.

Nel 1586 riappare a Parma, dove trama con Ferrante Gonzaga per uccidere il locale duca. Scoperto, si dà ancora una volta alla fuga. Mette insieme una grossa banda di briganti e devasta la Romagna. Sembra che goda della protezione del cardinale Luigi d’Este e dei cardinali legati Giulio Canani e Domenico Pinelli.

Ferrante Gonzaga

Ferrante Gonzaga

Nel 1587 il papa Sisto V gli spedisce contro Giovambattista di Stabbia con molti soldati; Lamberto fugge verso Cesenatico per imbarcarsi, ma a Cesena è intercettato dai pontifici. Allora occupa l’abbazia della Madonna del Monte, ne scaccia i frati e vi si fortifica.

Vi è assediato dal legato di Ravenna, il cardinale Domenico Pinelli. Fugge nottetempo dall’abbazia e prende la strada di San Marino, tocca Valbona dove tenta di liberare alcuni commilitoni. Circondato, è catturato a maggio dai medicei.

Papa Sisto V

Papa Sisto V

Il granduca Francesco de’ Medici consegna Lamberto Malatesta ai pontifici a seguito delle minacce di Sisto V di invadere per rappresaglia la Toscana. Lamberto è condotto a Perugia ed a Roma. L’ennesimo processo si conclude con una triplice condanna: l’impiccagione per il reato di omicidio, lo squartamento per il reato di rapina, il rogo per la connivenza con gli eretici. Il fratello Giacomo interviene un’ultima volta sul papa e la condanna viene commutata con il taglio della testa; una fine “onorevole”, più consona al suo stato nobiliare.

Nell’agosto 1587 è decapitato a Roma; il cadavere è esposto all’inizio del ponte di Castel Sant’Angelo.

Scrisse di lui Pompeo Litta Biumi in “Famiglie celebri italiane”: «Più che a perigliarsi nelle guerre egli amò di starsi ai suoi feudi a tiranneggiare i propri vassalli, a far violenza ai vicini. Morì con gran coraggio e senza mostrar pentimento; e questo confermò la opinione che egli non fosse alieno dall’aderire alle credenze dei protestanti, essendosi trovate tra le sue carte alcune lettere di Ledisguieres, uno dei principali fra gli Ugonotti e governatore del Delfinato: col quale non era in corrispondenza per altro motivo che per portarsi con tutta la sua banda ad ingrossare l’esercito del re di Navarra che combatteva contro il re Enrico III di Valois».

Più sbrigativa Lea Nissim Rossi: «Prepotente, crudele, dedito a imprese di saccheggio e di violenza».

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