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19 gennaio 1601 – Nasce a Santarcangelo Guido Cagnacci, genio del Seicento romagnolo

Guidobaldo Cagnacci (o Cagnaccio, Cagnazzi, Canalassi, Canlassi), nasce  il 19 gennaio (secondo alcuni il 13) 1601 a Santarcangelo. Il padre Matteo, nativo di Casteldurante (l’antico Castel delle Ripe e odierna Urbania), luogo d’origine dei Cagnacci, esercitava per tradizione familiare il mestiere di pellicciaio o conciapelli, con buona disponibilità economica; era inoltre banditore nel comune di Santarcangelo.“Di cognome Canlassi per essere uomo obeso, barbuto e tozzo fu detto Cagnacci”, scrive un secolo dopo Francesco Maria Niccolò Gabburri nella sua “Vite di pittori” . La madre Livia era figlia di un collega di Matteo, il cesenate Carlo Serra, banditore nel comune di Rimini.

Durante l’infanzia dà già prova del suo talento con i pennelli. Il ragazzo viene allora mandato a Bologna per imparare l’arte del pittore. Non si sa chi gli è maestro: secondo alcuni, Guido Reni; per altri, Ludovico Carracci. Al termine dell’apprendistato si reca due volte a Roma, forse al seguito del Guercino.

I suoi primi dipinti documentati sono le due tele, la Processione del Santissimo Sacramento e il San Sisto Papa, entrambe conservate presso il Museo di Saludecio e del beato Amato attiguo alla chiesa di San Biagio, del 1627. Nel frattempo la famiglia si è trasferita a Rimini andando ad abitare in Borgo San Bartolo, mentre lui lavora nel vicino convento dei carmelitani di S. Giovanni Battista.

Saludecio, la Processione del Santissimo Sacramento

Ma in quello stesso anno scoppia il fattaccio. La contessa Teodora Stivivi, bella e giovane vedova del capitano Battaglino Battaglini, entrambi di antica nobiltà riminese, perde la testa per il pittore e accetta perfino di fargli da modella. C’è anche una reciproca promessa di matrimonio.

Tutto ciò a quei tempi è non solo infamante, ma costituisce reato: precise leggi vietano le relazioni fra chi è nobile e chi non lo è, salvo apposite dispense consensuali.

I conti Stivivi, però, non hanno nessuna intenzione di accogliere Cagnacci nella loro casata: rinchiudono la figlia disonorata nel monastero delle Convertite (cioè delle ex prostitute, che era nell’odierna Piazza Ferrari) e intentano causa contro il temerario artigiano.

L’anno dopo succede ancora di peggio: il pittore penetra nel convento e i due innamorati tentano la fuga, lei travestita da uomo. Ma vengono scoperti.

Teodora finirà i suoi giorni in convento, mentre Guido viene bandito da Rimini, pena la morte.

Cagnacci si rifugia nella sua Santarcangelo (vicariato fuori dalla giurisdizione riminese, almeno per queste faccende)  dove gode della protezione di Monsignor Bettini, che gli consente di restare in Romagna e lavorare attivamente (nella stessa Santarcangelo, a Cesena, a Faenza, a Forlì) fino al 1648. Ormai è un artista maturo con uno stile che si ispira a Guido Reni e al Guercino, ma pare che anche Caravaggio non gli sia estraneo, mentre certamente è sensibile alla lezione di Melozzo da Forlì.

La “Gloria” di San Mercuriale a Forlì

Ma la sua vita continua ad essere movimentata. Già nel 1645 è costretto, non si sa bene perché, ad allontanarsi improvvisamente da Forlì. Finché tre anni dopo lascia per sempre la Romagna per approdare a Venezia. «L’uscita definitiva delle Legazioni ed il rifugio a Venezia potrebbero significare la necessità di sottrarsi ad un castigo temuto, o certo», scrivono Daniele Benati e Marco Bona Castellotta nella loro monografia sull’artista. 

Sulla sua epoca veneziana si sa molto poco, tranne che dura una decina d’anni e gli vale un buon nome, tanto da suscitare l’invidia dei colleghi ed un invito alla corte imperiale di Vienna.

E’ però il canto del cigno. Dopo appena due anni e aver dipinto alcuni raffinati capolavori, fra cui il ritratto dell’imperatore Leopoldo I e  La morte di Cleopatra, Guido Cagnacci muore a Vienna nel 1663.

La morte di Cleopatra (Milano, Galleria di Brera)

Da allora, Guido Cagnacci viene praticamente dimenticato. “Sino che adoperò le mischie dei colori alla
guidesca (di Guidi Reni), comparve degno allievo di un tanto maestro, ma quando con ardire volle infierire la maniera
con più forti colori, oscurò alquanto la sua gloria“, lo liquida il Gaburri.

Bisognerà attendere l’ultimo dopoguerra quando, con due mostre a Rimini nel 1952 e a Bologna nel 1959, il pubblico e la critica si accorgono di che grande pittore fosse stato. Da allora la sua figura colpisce grandi intellettuali italiani, fino a comparire nelle pagine di Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino. 

Nel 1981 arriva anche la fama internazionale: una Maddalena pentita, opera anch’essa del periodo viennese, viene messa all’asta dai duchi di Portland a Londra, destando lo stupore generale nel mondo dell’arte. La tela viene aggiudicata ad uno dei più considerevoli collezionisti americani del Novecento, Norton Simon, per divenire uno dei capolavori del suo museo a Pasadena in California.

Maddalena pentita

Oggi Guido Cagnacci, definito a suoi tempi «genio bizzarro», è considerato  «tra i più stupefacenti e originali pittori della provincia italiana nel Seicento» e «genio del Seicento romagnolo». 

(nell’immagine in apertura, particolare della “Cleopatra” del Metropolitan Museum di New York)

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