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Pierluigi Cappello: «Piangere non è un sussulto di scapole»

Anno nuovo vita nuova. E se la poesia “è vita che rimane impigliata in una trama di parole”, allora nel 2020 su Chiamami Città ci sarà tanta poesia nuova che rimarrà impigliata ogni giorno tra la trama di parole che compone il quotidiano on line della nostra città.

La poesia ha bisogno di piccoli spazi per irradiare la sua energia. Come quello sulla lavagna del Bar del Tribunale di Rimini, dove ogni giorno avvocati, giudici, cancellieri e (sventurati) avventori possono saziarsi di versi poetici mentre inzuppano un cornetto caldo nel cappuccino.

La poesia va portata ovunque, tranne dove se l’aspetta il pubblico della poesia. Una poesia al giorno toglie il medico di torno. Molto più della proverbiale mela – la poesia è una forma di cura. Stimola a rallentare, a osservare meglio, a prestare attenzione, a fare silenzio, ad avere rispetto per ogni singola parola, persino ogni virgola.

Insegna a mettere meglio a fuoco tutti coloro i quali sono esclusi dal banchetto del denaro e del potere. Un tempo la poesia rappresentava (secondo me a torto) il punto più alto del lirismo letterario. Oggi, deve tornare a incarnare la sua primitiva funzione: servire agli uomini per esprimere quello che sentono nella forma più diretta e immediata. Scendere dall’Olimpo e tornare a scorrere ad altezza d’uomo. Pochi sanno che per essere un lettore di poesia, nella vita basta aver letto una sola poesia, anzi, addirittura avere fatto proprio anche un solo verso. Per esempio: “e giunge l’onda ma non giunge il mare”. È l’unico verso che amo di Clemente Rebora. Eppure mi accompagna dalla prima volta che lo lessi, trent’anni fa. Spero accada anche a voi di imbattervi in una poesia, in un verso, appunto, e di trattenerlo con voi per sempre.

Buona lettura e – soprattutto – buone riletture. E buon 2020 (numeri a rima alternata, a riprova che la poesia è ovunque).

Paolo Vachino

Piangere non è un sussulto di scapole

Piangere non è un sussulto di scapole
e adesso che ho pianto
non ho parole migliori di queste
per dire che ho pianto
le parole più belle
le parole più pure
non sono lo zampettìo delle sillabe
sull’inverno frusciante dei fogli
stanno così come stanno
né fuoco né cenere
fra l’ultima parola detta
e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo

Pierluigi Cappello (Gemona, 1967 – 2017, nella foto in apertura)

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