E’ ormai morto il gran nemico di Dante, ovvero dei Ghibellini e della Parte Bianca. A Bonifacio VIII posto dal Sommo Poeta anzitempo nell’Inferno già quando sognò l’8 aprile 1300 ed effettivamente giuntovi, sempre secondo Lui, l’11 ottobre 1303, era succeduto per breve tempo il mite Benedetto XI. Forse passato a miglior vita per un’indigestione di fichi, gli succede il ben più incisivo Clemente V, che porta il papato ad Avignone e fa finta di subire la soppressione dei Templari da parte del re, francese come lui, Filippo IV “il bello”.
Tipi opposti, ma obiettivi identici: basta con le guerre fra fazioni. E non solo fra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, ma perfino con gli aborriti Ghibellini. Quindi, come riferisce Luigi Tonini (“Rimini nella signoria de’ Malatesti – parte prima” 1880) “a comporre le cose d’Italia Papa Clemente fin dal 1306 vi avea mandato in qualità di Legato il Card. Napoleone Orsini, di profession ghibellino, il quale era giudicato capace a riconciliar questi popoli”.
Purtroppo “niuna cosa gli avvenne di condurre a fine, nè in Bologna, da dove ebbe a sloggiare, nè in Firenze, ove non si potè introdurre. Tuttavia essendo nel suo desiderio di rimettere in quest’ultima gli esuli Bianchi, passò di Romagna ad Arezzo, ove fe’ massa di ghibellini, quanti ne potè avere dalla Marca d’Ancona, dalla Romagna, e dalla Toscana. Ma i Fiorentini, a prevenire i danni che loro avesser potuto farsi dal Cardinale, entrarono solleciti nel contado d’Arezzo con 15 mila fanti e 3 mila cavalli; con che vennero a stringerlo d’assedio in quella Città”.
In Romagna non si sta certo con le mani in mano: “Or qui, per quanto ne racconta l’Annalista di Cesena, i nostri Ghibellini, cioè Federico Conte del Montefeltro coi Forlivesi, corsero in aiuto del Cardinale, siccome amici de’ Bianchi. Lo che saputosi da Malatestino, favoritore de’ Neri dominanti in Firenze, questi nel mese di Giugno, recando Cesenati e Riminesi, si opposé loro a Montevecchio (di fonte a Borello di Cesena sull’altra riva del Savio): ma non gli riuscì quanto s’ avea posto in animo d’operare”.
“Nè in questo solo i nostri furono contro del Cardinale; ma ebbero proceduto ostilmente contro di esso anche quando era a Faenza; e sì ebbero cominciato un Castello nel distretto di Offigliano spettante al Conte di Montefeltro. Per le quali cose furono sottoposti alle censure ecclesiastiche; dalle quali tanto i Cesenati col loro Podestà Uberto Conte di Ghiaggiuolo, quanto il Podestà, gli Ufficiali, ed il Comune di Rimini, non furono prosciolti che in Luglio del 1309” .
Figurarsi se potevano bastare le querele: “Un altro colpo tentò Malatestino (il dantesco “Mastin Nuovo”, terzo dei quattro maschi dell’allora 95enne “Mastin Vecchio”) nel 1307 a danno de’ Ghibellini e fu di ricuperare a parte Guelfa il Castello di Bertinoro, che allora per opera di Alberguccio Mainardi obbediva agli Ordelaffi. Per la qual cosa, dopo aver negoziato con Alberguccio, il quale disgustato degli Ordelaffi dovea cedergli la Terra proditoriamente, come fu la notte del 6 Agosto, per quanto il Cobelli e l’Annalista Cesenate assicurano, Malatestino si pose in marcia colle milizie riminesi, e con molto popolo; e seco il nipote Uberto di Ghiaggiuolo Podestà di Cesena conduceva le milizie ed il popolo Cesenate. Ma come furono colà, ed ebbero già ottenuto parte della Terra, ecco che Scarpetta degli Ordelaffi Capitano di Forlì assieme con Zapitino degli Ubertini recando le milizie ed il popolo Forlivese, furono inaspettati al soccorso di Bertinoro”.
Sono subito botte da orbi: “Al primo scontro 25 dell’esercito dell’esercito forlivese furono morti; ma infilocatasi poi la mischia, quei di Forlì restarono superiori; talchè i nostri dovetter ricoverarsi entra al Castello; e appresso due di, per mancanza di viveri, ebbero anche ad arrendersi all’inimico”.
Amarissimo il bilancio per i Guelfi: “Circa due mila uomini tra riminesi e cesenati furono condotti captivi a Forlì, ove furon tenuti in carcere fino al 18 Settembre del 1308; nel qual di furono liberati in conseguenza della pace conchiusa a 25 di Agosto tra Bolognesi, Riminesi, e Cesenati di parte guelfa, e Forlivesi, Faentini, Imolesi, e Bertinoresi di parte ghibellina. Perocchè sei giorni appresso la rotta di Bertinoro, secondo racconta il Ghirardacci, i nostri ebber mandato Oratori al popolo di Bologna, che a nome de’ Malatesti e de Comuni di Rimini e di Cesena domandarono, volesse venir loro in ajuto. Nella quale domanda il guelfo Popolo bolognese non si fece pregar molto; per cui ne fu conchiusa la pace anzidetta”.