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18 marzo – La fugaràza ‘d San Jusèf

Il 19 marzo tutte le Chiese cristiane celebrano San Giuseppe, “l’uomo giusto” sposo di Maria e padre putativo di Gesù.

Ma c’è bisogno di dirlo? La notte che porta a San Jusèf, è quella della Fugaràza, se sei di Rimini, Fugaràcia un po’ più in giù, Fugaròina e Fugharèna man mano che si va in su. Comunque vengano chiamati, i falò illuminano la notte del 18 marzo in tutta la Romagna. E non solo.

La fogheraccia affonda le sue radici nelle epoche più remote: coincide infatti con l’equinozio di primavera, e almeno fin dal neolitico accendere un fuoco era un rito che doveva propiziare il risveglio della natura. Con un atto di “magia simpatica”, il fuoco degli uomini voleva aiutare quello del sole a rinvigorirsi dopo la sua “morte” invernale. Riti di questo genere erano ( e sono) diffusi in tutta Europa, anche se la data nei paesi più settentrionali era più avanzata: come nel caso della festa celtica Beltaine e i suoi falò del 1 maggio, cioè a metà fra equinozio e solstizio. Una festa di capodanno, perchè erano moltissimi i calendari che iniziano a contare i mesi dalla primavera. E lo sono ancora: per esempio il Comune di Firenze continua a celebrare con manifestazioni ufficiali l’inizio del nuovo anno il 25 marzo.

In Italia, la tradizione dei fuochi di San Giuseppe è ancora viva per esempio a Bobbio, in provincia di Piacenza; a Mormanno, in provincia di Cosenza; a Itri, in provincia di Latina, dove accanto ai falò si friggono le tradizionali zeppole di San Giuseppe; a Matera e soprattutto nel borgo lucano di Viggianello (con i “fucalazzi”); a Serracapriola in provincia di Foggia, dove si bruciano le potature degli olivi, mentre in altri luoghi ardono rami di pino, leccio o ginestra. In Val di Trebbia c’è il rogo della “Vecchia”, dove qualcuno scorge traccia di primitivi sacrifici umani, come del resto per il “Vecchione” di Bologna di Capodanno o la Segavecchia romagnola di metà quaresima.

Tornando a noi, della fogheraccia esistevano due versioni, una “di campagna” e una “di mare”: mentre nella prima si bruciavano stoppie, potature e scarti del raccolto, la seconda era alimentata anche dalle grandi quantità di legna portato a mare dai fiumi con le piogge autunnali e invernali e raccolta sulle spiagge: l’almadìra. Poi si aggiungevano vecchi mobili e altri materiali di scarto purché combustibili.

Una volta esaurito il fuoco, sulle braci ancora fumanti si facevano passare le giovenche e le ragazze adolescenti: il rito doveva favorirle nell’allattamento.

“La fugaraza grosa la fa cress al teti!”, la fogheraccia grossa fa crescere le tette! Spiega Gianni Quondamatteo: “Chi portava molta legna ai falò che si accendevano la sera del 18 marzo, vigilia di San Giuseppe, s’ingraziava questo santo, il quale, già falegname di professione, non avrebbe usato la pialla sul seno della giovinetta offerente, consentendo così il rigoglioso sviluppo di questo bell’attributo femminile”.

“Fugarèna, fugarèza San Jusef aligrèza, e la Madona la s’indrèza”, Fogarina, fogarazza, San Giuseppe allegrezza e la Madonna viene innalzata: allusione alla prossima festa dell’Annunciazione della Beata Vergine del 25 marzo, alla cui vigilia si faceva – e in campagna ancora un po’ si fa – un’altra fugaràza, quella appunto dla Madòna.  La filastrocca, raccolta dagli antropologi Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi in “Calendario e folklore in Romagna” (MediaNews, 1995), veniva cantata dai pescatori romagnoli durante l’accensione sulla spiaggia del tradizionale fuoco.

Ma a volte capita che marzo capriccioso renda arduo accendere le fogheracce: “La burasca ‘d San Jusèf, la vo vnì o terd o prest”, la burrasca di San Giuseppe vuole venire tardi o presto. 

E non è solo una perturbazione meteorologica. C’è un sinistro insistere dei proverbi romagnoli su questa ultima notte dell’inverno, stagione di morte che ancora pretenderebbe il suo tributo finale. A Ravenna: “San Jusèf e ven a tor i su vicèz, qui che su mena dri u si manda dnenz”, San Giuseppe viene a prendere i suoi vecchi, quelli che prende se li manda dinanzi. Più esplicitamente: “Quand che San Jusèf l’ha fat la su burasca, se e’ vecc u n’è mort nenc par c’l’an u l’ha scapa”, Quando San Giuseppe ha fatto la sua burrasca, se il vecchio non è morto anche per quell’anno l’ha scampata.

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