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15 novembre 1325 – Tino Malatesta cade prigioniero nella battaglia della Secchia Rapita

Scrive Luigi Tonini sulla scorta del Muratori«In quello stesso 1325 Malatestino fu coi Bolognesi contro quelli di Modena, e si trovò nella rotta toccata al campo bolognese a Zappolino il dì 15 di novembre, ove egli restò prigioniero di Passerino Signor di Mantova assieme con Angelo da S. Elpidio Podestà di Bologna, con Sassuolo di Sassuolo, con Jacopino e Gherardo Rangoni, e con molti altri Nobili».

La battaglia di Zappolino in Val Samoggia fra Guelfi e Ghibellini fu uno dei più grandi scontri campali avvenuti nel medioevo: vi presero infatti parte circa 35 mila fanti e 5.300 cavalieri e costò la vita a migliaia di uomini.

Nonostante questa tragedia, la sua memoria ben presto passò in burla. Finché nel Rinascimento Alessandro Tassoni la consacrò in questa forma con uno dei poemi satirici più fortunati della letteratura italiana, “La secchia rapita”.

Come ci era finito un Malatesta nella contesa fra Modenesi e Bolognesi? E chi era Malatestino Novello? Non se ne conosce l’esatta data di nascita, che dovrebbe risalire ai primi del Trecento. Figlio di Ferrantino, il nonno era Malatestino “dall’occhio” e il bis-nonno, che lui certamente conobbe, il centenario Malatesta da Verucchio, il fondatore del dominio della casata su Rimini detto da Dante “il Mastin vecchio”.

“Tino” fu luogotenente del padre nella podesteria di Cesena, a sua volta il primo della famiglia a ricoprire tale carica. Nel 1324 fu armato cavaliere a Rimini e nello stesso anno vinse Claudio degli Artichini, che tentava di togliergli di mano la stessa Cesena. Godendo di ottima reputazione militare, i Guelfi bolognesi lo chiamarono insieme ad altri condottieri alleati per regolare i conti con la ghibellina Modena.

Modena nel XVII secolo

Dopo la sconfitta di Zampolino e una breve prigionia a Modena, nel tornare a Rimini cadde nel tranello tesogli dal cugino Ramberto e fu rinchiuso nel castello di Santarcangelo. Liberato dagli stessi abitanti grazie all’aiuto dell’energica moglie Polentesia, mosse guerra al parente traditore, fino a ucciderlo con le sue mani. Dovette quindi combattere contro il cardinale Bertrando del Poggetto, che pretendeva la consegna di Rimini, ma restituì alla Chiesa solo Mondaino e solo dopo l’ordine del padre. Passò poi  malvolentieri, al papa nella guerra contro gli Estensi, ma nella battaglia del 13 aprile 1333 a Borgo San Silvestro cadde di nuovo prigioniero, questa volta del marchese Rinaldo II d’Este.

La Rocca Vecchia di Cesena nel XIV secolo ( Disegno di A. Dal Muto)

Rimesso in libertà, seguì il padre nei fatti che lo portarono al riacquisto di Rimini, ma fu tradito da un altro cugino, il  “Guastafamiglia”, imprigionato nella rocca di Gradara e poi in quella di Fossombrone, ove morì probabilmente assassinato nel 1335.

Ma tornando alla battaglia di Zappolino, fu originata dall’odio inconciliabile tra Modenesi, di parte ghibellina, e Bolognesi, di parte guelfa. Una rivalità che era anche quella fra l’antica e aristocratica Mutina, in epoca romana la città più importante lungo la Via Aemilia fra Arminum e Mediolanum, che si vedeva ormai soppiantata dall’incontenibile e “borghese” Bononia.

Quest’ultima nel 1246 a Fossalta colse la sua vittoria più gloriosa proprio contro i Modenesi, catturando niente meno che Re Enzo, sovrano di Sardegna e figlio naturale dell’Imperatore Federico II Hohenstaufen, che poi avrebbero trattenuto per 23 anni in prigionia sontuosa, ma a vita, nel palazzo che porta ancora il suo nome.

Re Enzo condotto prigioniero a Bologna

Nonostante la sconfitta definitiva degli Hohenstaufen nel 1268, la lotta continuerà a trascinarsi nei decenni fra alterne vicende, mentre l’originario contrasto ideologico fra Impero e Papato si sbiadiva ormai nelle contese municipali.

Fra Bologna e Modena, comunque, passava ancora una sorta di confine fra l’area centrale della penisola ormai a predominanza guelfa e la Val Padana dove invece i ghibellini erano egemoni, soprattutto grazie a ScaligeriVisconti ed Estensi.

gli imperatori germanici avevano affatto rinunciato a occuparsi delle vicende italiane, sentite come un tutt’uno con quelle dell’ideale “impero universale”. In questo contesto, si erano fatte sempre più forti le pressioni di una Bologna in grandissimo sviluppo, anche demografico, contro la vicina Modena.

La ricostruzione della Bologna medievale

Qui, dopo la morte del signore d’Obizzo d’Este (lo era anche di Ferrara e Reggio Emilia), si era scatenata una lotta per la successione tra i figli. Tra questi riuscì a prevalere Azzo VIII, il quale, in difficoltà con la nobiltà cittadina, secondo le migliori dottrine politiche cercò di rafforzarsi lanciando il guanto di sfida al nemico esterno: ovviamente, la detestata Bologna. E anche se gli andò piuttosto male, la medesima strategia fu seguita dal suo successore eletto dai Modenesi, il signore di Mantova Rinaldo de’ Bonacolsi , detto “Passerino”.

Passerino sapeva il fatto suo e nonostante le continue scorrerie felsinee riuscì a impadronirsi del castello di Monteveglio, strategico per la difesa di Bologna. A proteggerla su quel fronte restava ora solo la rocca di Zappolino.

I ruderi della rocca di Zappolino

Qui i Bolognesi radunarono tutto quello che potevano mettere in campo. Chiamarono in soccorso i capi romagnoli guelfi più importanti, come il Malatesta, e Fulcieri di Calboli (cacciato dalla sua ghibellinissima Forlì e nominato Capitano del Popolo a Bolognaoltre ai fuorusciti guelfi modenesi guidati da Albertino Boschetti.

Il 15 novembre 1325 la vista dell’esercito guelfo ai piedi della fortezza di Zappolino era impressionante: ben 30 mila fanti, più 2.500 cavalieri. Dalla parte opposta i Modenesi potevano schierare solo 5 mila fanti, ma disponevano di 2.700 esperti cavalieri fra cui parecchi uomini d’arme tedeschi.

Con il Bonacolsi c’erano anche Azzone Visconti e Rinaldo II d’Este, oltre alla speculare presenza dei Ghibellini bolognesi cacciati dalla loro città e condotti da Gangalando Bertucci di Guiglia.

Passerino giocò le sue magre carte con maestria. Attirati con movimenti diversivi alcuni reparti nemici lontano da Zappolino, non diede ai Guelfi il tempo per riorganizzarsi e attaccò le prime linee con la sua formidabile cavalleria: lui e il Visconti caricarono frontalmente, mentre Gangalando e i suoi fuorusciti bolognesi assetati di vendetta comparivano sul fianco dei concittadini.

Zappolino all’epoca della battaglia

La battaglia, iniziata nel pomeriggio, non durò più di un paio d’ore. Ma si risolse in uno spaventoso bagno di sangue. I Guelfi sbandarono proprio dalla parte dove aveva attaccato Gangalando e cercarono di ritirarsi nel castello di Zappolino. Che però non li poteva contenere tutti e comunque si ergeva su una ripida rupe difficile da scalare in massa e con il peso delle armi. La ressa si tramutò in panico e poi nel più catastrofico “si salvi chi può”.

Jacopo Avanzi, scena di battaglia negli affreschi del castello di Montefiore (1366 ca.)

E si salvarono la vita quelli dentro Zappolino, altri che avevano raggiunto il castello di Oliveto, mentre altri ancora furono braccati fino a Bologna, dove alcuni riuscirono a guadagnare stremati porta S. Felice.

Il resto – due, o forse perfino tremila – restarono abbandonati alla prigionia o alla mattanza. Fra loro cadde anche l’esule modenese Albertino Boschetti.  

Malatestino e gli altri nobili forestieri, invece, erano più preziosi da vivi, per i lauti riscatti che avrebbero fruttato.

Oliveto in Val Samoggia

I Modenesi distrussero al loro passaggio i castelli di Crespellano, Zola, Samoggia, Anzola, Castelfranco, Piumazzo e la chiusa del Reno presso Casalecchio, lasciando i canali navigabili di Bologna senz’acqua. 

Ma non tentarono neppure di prendere la città, troppo grande e ben difesa per le loro forze.

In compenso per giorni e giorni i Modenesi si poterono sfogare schernendo i Bolognesi rinchiusi nelle mura; intorno alle quali, fra l’altro, si concessero il gusto di correre ben quattro palii, a dimostrazione che potevano divertirsi indisturbati sotto il naso del nemico. Usanza comune dell’epoca: come racconta Dante Alighieri, lo stesso avevano fatto i Guelfi fiorentini e i loro alleati sotto le mura di Arezzo, dopo la terribile sconfiffa inflitta ai Ghibellini nella battaglia di Campaldino del 1289.

Il pozzo di Bologna dove la secchia fu rapita

Alla fine i vincitori di Zappolino tornarono a Modena portando in trofeo una secchia rubata in un pozzo;  i Bolognesi ancora oggi mostrano il pozzo del “rapimento” coperto da un antico tombino fuori porta S. Felice. E ancora oggi la secchia è gelosamente conservata dalla città di Modena, che ne espone una copia nella torre della Ghirlandina.

La copia della “secchia rapita” nella torre della Ghirlandina

Alcuni mesi più tardi, nel gennaio del 1326, la pace fra le due parti vide la restituzione dei terreni e dei castelli conquistati dai ghibellini ai Bolognesi, probabilmente in cambio di denaro, finito però direttamente nelle mani di Passerino. Anche per questo, il signore fu poi scacciato da Modena nel 1327.

Nello stesso anno il fuoruscito bolognese Gangalando, l’eroe della battaglia di Zampolino, cadde nella mani dei suoi concittadini, che lo impiccarono come traditore. Il sacrificio di migliaia uomini si era quindi rivelato del tutto inutile.

Ma ai Modenesi restava la soddisfazione della secchia,  che continuò a essere narrata dai cantastorie, fino a quando il Tassoni lo seppe fare come nessun altro.

Augusto Majani: “La Secchia riempita” (disegno umoristico del primo Novecento)

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