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15 giugno 2023 festa dei Figli d’Italia, che nell’inno “si chiaman Balilla”

Il 15 giugno 2023 sarà davvero la prima giornata dei Figli d’Italia, la nuova ricorrenza promessa dal governo Meloni? Personalmente spero di no. L’inno nazionale, da cui il partito della premier ha piratato il suo nome, dice che “i figli d’Italia si chiaman Balilla”, e se nel Risorgimento l’allusione a Balilla faceva battere i cuori dei patrioti, oggi piace solo a quelli che il 28 ottobre hanno celebrato il loro rave a Predappio.

Ma secondo il suo promotore, il senatore Andrea De Priamo, la festa dei Figli d’Italia dovrebbe essere di impronta più deamicisiana che mussoliniana, con borse di studio per fanciulli meritevoli e premi per atti di coraggio e bontà.

In questa prospettiva abbiamo già un vincitore15 giugno 2023 che più deamicisiano non si può: il dodicenne che qualche giorno fa ha inseguito il rapinatore che aveva alleggerito la nonna del portafoglio con i risparmi destinati alle feste in famiglia. L’intrepido ragazzino non ha esitato a misurarsi fisicamente con il ladro, prendendolo a calci e minacciando di denunciarlo se non restituiva il maltolto.

A chi ha letto Cuore non può non suonare un campanello: è quasi la versione incruenta di Sangue romagnolo, con il piccolo Ferruccio che salva la nonna da un bandito che lei ha riconosciuto (“Mozzoni!”). A fine ‘800 la Romagna era terra di briganti e facinorosi e la prima cosa che la nostra regione evocava agli occhi degli italiani non era né la piadina né il liscio, ma il pugnale, quindi in racconto mensile ambientato in Romagna doveva per forza scorrere il sangue – quello del povero Ferruccio, nella fattispecie, che si becca la coltellata destinata alla nonna.

Fortunatamente per il Ferruccio 2022 è finita meglio, vuoi perché la Romagna in centovent’anni è cambiata, vuoi perché il malvivente non era romagnolo e forse nemmeno italiano, e si è limitato a mollare l’osso e a scappare. Però la povera nonna deve aver rischiato il coccolone al pensiero che il nipotino, per amor suo e per poche banconote, potesse rischiare la buccia, e credo che, come qualunque adulto di buon senso, gli avrebbe impedito di andare a cercarsi dei guai.

I soldi vanno e vengono, la vita no. E qualcuno potrebbe leggere il caso del dodicenne che si sacrifica per salvare la pensione della nonna come una triste metafora delle sperequazioni del nostro paese, che ruba il futuro dei sempre meno numerosi giovani tagliando su scuola e formazione, per assicurare il welfare di spropositato esercito di anziani.

Passando a metafore più liete, se l’impeto generoso e temerario del ragazzino è un mattino che annuncia un buon giorno o una rondine che fa primavera, le giovanissime generazioni potrebbero riservarci un sacco di belle sorprese, ma anche di begli spaventi.

Siamo pronti a gestire questi piccoli, imprevedibili eroi, che quando si tratta di riparare i torti o difendere i deboli non hanno paura di sfidare adulti molto più grossi di loro? E se non dovesse trattarsi di un disgraziato borseggiatore da strada, ma qualche potente vero, dall’aria rispettabile, che può fargli molto più male, senza nemmeno bisogno di sporcarsi le mani? È a questi nostri ragazzi che dobbiamo fare gli auguri per un buon 2023. E auguriamo a noi stessi di non mettergli troppi bastoni fra le ruote.

Lia Celi

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