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14 giugno 1216 – Rimini rifila una batosta a Cesena e si tiene Longiano per sempre

Il libero Comune di Rimini si va formando durante il XII secolo, fino al solenne riconoscimento dell’imperatore Federico I Barbarossa nel 1157. L’affermarsi delle autonomie municipali nel nord e centro Italia va di pari passo con guerre e guerricciole fra i Comuni confinanti, talvolta di inaudita ferocia. Rimini e la Romagna però appaiono un’isola relativamente felice, come spiega Luigi Tonini (“Storia civile e sacra riminese. Rimini dal principio dell’era volgare” – vol.2 1862): “Rimini in particolare non fu nè sì piccola rispetto alle vicine da mettere speranza in esse di metterle giogo, nè poi fu sì forte o sì grande da concepir essa pretensioni su quelle o da porgerne altrui ragionevol timore. Così qui si visse in pace più che altrove; e questa terra ottenne più che altre rispetto e amore”.

“Pace più che altrove”, ma fino alla pace vera ce ne corre. Già nel 1125 i Riminesi non vogliono mancare nella guerra di Ravenna contro Faenza, che aiutata da Bologna vorrebbe sbarazzarsi della molesta rocca dei Conti di Cunio. Sono in buona compagnia: Imola, Ferrara, Forlì e Cesena. Ma la coalizione viene sconfitta. Poco dopo le alleanze si rimescolano e questa volta è Imola, con l’aiuto di Faenza, a resistere eroicamente a Bologna, Ravenna e Ferrara. Dalla parte opposta, verso il 1140 Pesaro e Senigallia vengono alle mani con Fano; Rimini sta con questa, pur non intervenendo direttamente.

Faenza

Ma i dissidi più aspri e duraturi sono fra Rimini e Cesena. Poco dopo il Mille catastrofici eventi naturali avevano mutato il corso di quasi tutti i fiumi romagnoli. Il Marecchia, per esempio, era andato a sfociare con un suo ramo a Viserba, da cui il toponimo di San Martino “in Riparotta”. Ma anche il Rubicone aveva cambiato strada. E siccome segnava fin dai tempi romani il confine fra i territori riminese e cesenate, ne derivò una disputa che sarebbe durata per secoli. Cesena sosteneva che la divisione dovesse restare dov’era prima, mentre Rimini voleva che seguisse il mutato corso delle acque, per giungere quindi quasi alle porte di Cesena.

Il Rubicone identificato con il Pisciatello

Fra le terre contese, la principale era la ricca e strategica Longiano, munita di castello almeno dal 1059. Secondo l’infallibile principio che fa preferire il padrone lontano a quello troppo vicino, i Longianesi da sempre propendevano per Rimini. D’altra parte, facile intuire con quale piacere Cesena dovesse sopportare la vista di quella piazzaforte ostile a nemmeno 8 miglia dalle proprie porte.

Le cronache segnalano il primo episodio bellico fra Rimini e Cesena nel 1142. A dire il vero sono i Cesenati stessi a prendere le armi in una guerra civile, nobili e popolo l’un contro l’altro. Ma Rimini non si lascia sfuggire l’occasione di intromettersi, sostenendo fattivamente i popolari assieme a Ravenna e Forlì, mentre Faenza aiuta i maggiorenti. Un provvidenziale temporale evita il massacro generale, ma non è certo finita qui. Nel 1145 Rimini marcia di nuovo contro Faenza insieme a Ravenna, poi aiuta Imola che di nuovo resiste a Bologna. E Cesena resta saldamenete avversaria.

La Rocca Vecchia di Cesena nel XIV secolo (Disegno di A. Dal Muto)

Nel 1165 la questione del Rubicone torna sul tavolo. Il vescovo di Cesena vuole continuare a esercitare il suo dominio sulle pievi di Gazo, cioè San Giovanni in Compito, anche se ormai si ritrovano al di là del fatale fiumicello. Allo scopo mette in campo l’esercito, al comando di Cavalcaconte signore di Bertinoro. Rimini risponde riprendendosi con la forza le pievi e minacciando di attaccare la stessa Cesena. Pare che anche questa volta la plebe cesenate si rivoltasse contro i nobili, senza dubbio con lo zampino riminese. Lo scontro è scongiurato ma Cesena deve firmare una pace dove non solo il Compito resta a Rimini, ma a Cavalcaconte tocca anche cedere il castello di Calbana, che diverrà sede di un Bailo in quanto capoluogo di uno dei tre distretti in cui era ripartito il Contado riminese.

Negli anni seguenti i rivolgimenti di fronte si susseguono, con Riminesi e Cesenati che si ritrovano perfino a combattere assieme contro le solite Faenza e Bologna. Dopo di che Rimini “fedelissima” al Barbarossa e da lui beneficata aderisce alla prima Lega Lombarda che nel 1176 sconfìgge l’imperatore a Legnano. Una parentesi “guelfa” che dura poco e ben presto Rimini torna alla parte imperiale e soprattutto agli affari di casa.

Come il 18 agosto 1181. Il castello di Bulgaria è a sole 4 miglia da Cesena, ma ben al di qua del Pisciatello che per Rimini rappresenta il sacro confine del “Rubicone”. Bulgaria è però tenuto dai Cesenati, che provocatoriamente lo rinforzano e lo affidano al loro nobile e bellicoso Garatone. Rimini raduna pertanto armati a Pesaro e Urbino, ne ottiene dai potenti e amici conti Berardini, pure pesaresi, mette al comando dell’armata Montefeltrano conte di Montefeltro. E attacca. Bulgaria è espugnata, Garatone preso assieme ai suoi. Imbandalziti, i Riminesi avanzano fin sul Pisciatello pensando forse di assalire la stessa Cesena. Ma qui non si sta con le mani in mano e suonato l’allarme generale tutti si riversano sulle rive del torrente. Una reazione probabilmente inattesa; fatto sta che Rimini perde 74 cavalieri, non si sa quanti fanti e gli altri vengono ignominsamente inseguiti fino a Savignano.

Nel 1189 Cesena e Rimini firmano una nuova pace. Ma già nel 1197 si ritrovano su versanti opposti. Federico Barbarossa era morto in Turchia mentre si recava alla crociata. Aveva nominato marchese di Ancona il fedelissimo Marcovaldo, mentre la Chiesa rivoleva per sè sia quella Marca che il ducato di Spoleto. Il successore del Barbarossa, Enrico VI, eleva Marcovaldo a duca di Ravenna, margravio di Ancona e conte d’Abruzzo. Rimini e quasi tutte le città romagnole e marchigiane avevano voltato le spalle all’impero, ma Cesena e Forlì no e invocano il soccorso di Marcovaldo. I Riminesi tentano di fermare il suo esercito a Santa Cristina ma nel 1198 sono rovinosamente disfatti.

Marcovaldo (Markward von Annweiler)

Cesena ne approfitta subito e si lancia all’assalto di Longiano, la prende e la incendia. Allora Rimini ricostruisce le fortificazioni di tasca propria, mentre il 4 maggio 1199 ben 184 capifamiglia longianesi giurano fedeltà ad Albrigitto, podestà di Rimini e primo a ricoprire questa nuova carica municipale.

Smacco ancor peggiore per Rimini nel 1202, che il 27 agosto invia un drappello di cavalieri a razziare il solito castello di Bulgaria. Mentre si portano via una coppia di buoi, le milizie cesenati appostate a Calisese sono però addosso ai Riminesi e li mettono in rotta all’Ospedale di Budrio. Vengono catturati i cavalieri Guido di Rambertino e Surlione insieme ad altri 16 armati, mentre i restanti se la devono dare a gambe. Un’onta vera e propria, per vendicare la quale intervengono gli alleati da Ravenna e da Forlì. Ma gli indomiti cesenati sgominano pure loro, prendendo prigionieri anche parecchi Ravennati.

Due anni dopo, i Riminesi devono ingoiare l’ennesimo rospo. Per solidarietà di parte ghibellina e volendo come di consueto impicciarsi dei fatti cesenati, aiutano il fuoruscito Garatone de’ Rigazzi a rientrare in città coi suoi, dopo esserne stato scacciato dal capo guelfo Rainerio di Scolcio. Il 9 ottobre i ghibellini corrono per Cesena e incendiano le case dei nemici. Ma questi, spalleggiati da un drappello di Faentini, reagiscono vigorosamente e li costringono a rifugiarsi a Montecchio con la coda fra le gambe e Garatone nuovamente esule.

L’anno dopo si sfiora nuovamente il confltto armato per l’ennesima contesa sui confini del Rubicone. La faccenda ha talmente ammorbato la Romagna che tutti non ne possono più e da Bologna come da Ravenna viene imposto un arbitrato. La sentenza deve essere equanime dal momento che scontenta alla pari sia Rimini che Cesena. Fatto sta che il compromesso del 1205 resterà in vigore fino al 1777, quando il papa cesenate metterà fine a tutte le istanze riminesi pro domo sua.

Dopo tanti bocconi amari, Rimini vuole però regolare i conti con Cesena una volta per tutte. L’occasione si offre nel 1216. Il nobilissimo ravennate Pietro Traversaro, più volte Conte di Rimini, sarà anche stato lo specchiato esempio di cortesia cavalleresca di cui Dante va verseggiando nel XIV canto del Purgatorio (assieme ad altri romagnoli rimpianti con motivazioni a noi altrettanto inaccessibili). Ma certo non rese un buon servizio alla città che l’imperatore gli aveva affidato quando vendette certi suoi diritti veri o presunti su Longiano proprio ai Cesenati. Forti di ciò e fiduciosi dei precedenti a loro favorevoli, questi avevano preso ad allestire una spedizione in grande stile per debellare la perenne minaccia. Ma questa volta sulle rive del Marecchia non si fanno cogliere impreparati. Venuti a sapere quanto cova sul colle Garampo, i Riminesi prima rinsaldano le alleanze, poi chiamano a raccolta tutte le forze disponibili per infine muovere a loro volta in massa.

Longiano

Il 14 giugno l’esercito di Cesena viene sorpreso a Monte delle Forche, mentre tenta di arrivare a Longiano da Monteleone. La disfatta è totale. Morti e fuggitivi non si contano, mentre i catturati sono ben 1.500. Cifra annotata dal Tolosano nel suo Chronicon Faventinum che può sembrare esagerata date le dimensioni dei contingenti dell’epoca, ma altre fonti (Cronaca di Reggio) parlano di 1700 e altre ancora (Ghirardacci, “Della Historia di Bologna”) 1800. Con i Riminesi ci sono i fidati alleati di Fano; insieme conducono bottino e prigionieri a Santarcangelo.

La guelfa Cesena chiede allora soccorso ovunque la sua parte sia al potere e principalmente a Bologna, promettendo qualsiasi cosa a iniziare che d’ora in poi vorrà solo Podestà di quella città. L’appello non cade nel vuoto e i felsinei mettono insieme un grosso esercito, trovando appoggi a Ferrara, Reggio, Faenza. A comandare l’armata c’è il Podestà di Bologna in persona, il piacentino Visconte Visconti, che compare di fronte a Santarcangelo con il Carroccio di San Petronio.

Ricostruzione del Carroccio di Bologna

Ma Rimini da parte sua riceve rinforzi da Ravenna, Fano, dai Conti di Carpegna e quelli del Montefeltro, da Pesaro e Urbino. Santarcangelo resiste alla brava e il Carroccio bolognese si deve accampare alla pieve di Santa Cristina. Da qui i Guelfi si sfogano sul contado, ma a questo punto la spedizione punitiva è in un vicolo cieco. Perfino Roma la disapprova: l’anno prima Innocenzo III aveva proclamato tregua generale fra tutti i cristiani perchè invece di attaccar continuamente briga si andasse a combattere l’Infedele in Terrasanta: era poi morto il 18 luglio durante questi fatti, ma il successore Onorio III riguardo le guerre municipali e i loro iniziatori la vedeva esattamente allo stesso modo. Avviene così che proprio i Guelfi cesenati e soci si ritrovino inopinatamente scomunicati. Alla prima proposta di pace riminese del Vescovo Ventura e del Podestà Ottone da Mandello, Bolognesi e Faentini ritengono di poter tornare alle loro case. Posto simbolicamente un gonfalone di Bologna a Santarcangelo e con ciò fatto salvo l’onore della gran città, rilasciati i rispettivi prigionieri, ottenuta la remissione delle scomuniche, il primo di settembre la pace è firmata.

Quanto a Cesena, mentre la sudditanza a Bologna resta nero su bianco, ogni velleità su Longiano è spenta per sempre. Il bel castello resterà tenacemente nell’orbita di Rimini senza nessuna interruzione anche durante la successiva signoria dei Malatesta; e farà parte della diocesi riminese fino alle rettifiche di papa Braschi nel 1777.

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