Secondo quanto annota Luigi Tonini, il 13 settembre dell’anno 1400 il vescovo di Rimini Leale Malatesta «pochi giorni avanti il suo transito, fece testamento, il quale si conserva nell’Archivio della Cattedrale».
Leale era figlio illegittimo di Malatesta Antico, detto anche il Guastafamiglia, e di tale Giovanna. Nato intorno agli anni Venti del ‘300, fu legittimato solo nel 1363 grazie a una dispensa di Papa Urbano V. In quello stesso anno pare fosse già titolare di alcune prebende presso la diocesi di Rimini.
Fu vescovo di Pesaro dal 1370 al ’74, succedendo a Niccolò de’ Merciari, trasferito alla diocesi di Fermo. Il 6 gennaio 1374 venne nominato vescovo di Rimini da papa Gregorio XI. Resse la diocesi fino alla morte. Fra le sue opere pie si ricordano provvedimenti a favore dell’Ospedale di S. Maria della Misericordia, nella contrada di S. Maria in Corte, e la costruzione di un nuovo ospedale in contrada S. Agnese nelle case appartenute al cronista Marco de’ Battagli, di cui si conservano alcuni malridotti resti in via Garibaldi.
Il corpo venne deposto nella chiesa di San Francesco a Rimini, quasi certamente in una cappella appositamente aggiunta, per il cui allestimento Leale aveva lasciato beni ed arredi preziosi: due croci d’argento dorato, un cospicuo patrimonio di libri e pregiati paramenti. Destinò inoltre alcuni legati pii al Comune di Rimini, distinguendosi per prodigalità nella donazione di un pregevole ostensorio, che fu tabernacolo processionale per il Corpus Domini sino al 1581 allorché, trasformato in reliquario, accolse le spoglie della Sacra Spina offerta al vescovo Giovanni Battista Castelli da Enrico III di Francia. L’ostensorio, oggi parte del Tesoro della cattedrale di Rimini, dà un’immagine a tutto tondo di Leale che, deposta la mitra e il pastorale, invoca in ginocchio S. Giorgio a cavallo, protettore dei Malatesta.
Il testamento di Leale fu redatto nel castello da lui stesso fondato nel territorio della pieve di San Savino e che porta tutt’ora il suo nome. Con ogni probabilità anche la morte del vescovo avvenne nello stesso castello.
Della vita del vescovo non si sa molto. Fra le poche notizie, quella di una sua ambasceria alla corte di Antonio da Montefeltro per ottenere dagli eterni avversari dei Malatesta la liberazione di un prigioniero, Giovanni di Francesco, nonchè la rinuncia a ogni rivendicazione territoriale su Sassoferrato e Cantiano. Tentativo che fallì mentre il dissidio con i Montefeltro tornò a rinfocolarsi.
E’ giunta a noi anche una sua petitio rivolta a Papa Bonifacio IX nel 1397, nella quale, per lenire i malanni della vecchiaia, Leale chiedeva l’esenzione dal divieto di mangiare carne, uova e latticini nei giorni proibiti dalla Chiesa a eccezione del venerdì. Con un’altra petitio chiese che tutti i frati e preti della sua diocesi, esenti, per antichi privilegi apostolici, da qualsiasi giurisdizione, fossero sottoposti alla potestà giudiziale del vescovo. Il pontefice suggellò entrambe le suppliche con il suo fiat.
Fra i lasciti di Leale per noi più preziosi c’è il suo Decimario, ovvero il libro contabile dove venivano annotate le decime, le tasse (solitamente al 10%, ma potevano essere minori o maggiori anche di molto secondo i vari contratti) che venivano riscosse per le esigenze del culto. Una fonte inesauribile di notizie sulla situazione del territorio riminese sul finire del XIV secolo.
Castrum Lealis venne eretto nel 1388 su di una collinetta che le cronache del tempo descrivono provvista di «buoni campi e buone viti». Quanto ne rimane, oggi nel territorio del Comune di San Clemente, rappresenta assieme alla vicina Agello, un esempio di fattoria fortificata malatestiana (tumba) fra i meglio conservati nel territorio riminese. A pianta quadrangolare, era munito di un’alta torre e circondato da un fossato. E’ ancora ben riconoscibile l’ingresso del piccolo castello, dove si trovavano due ponti levatoi con le relative porte, una carraia a sesto acuto e una pedonale più piccola con arco trilobato. Scrive Pier Giorgio Pasini: «Sono archi bellissimi di disegno con ghiere sovrastate da una semplice ma raffinata decorazione».
Nel 1430 Castellelale apparteneva a Sigismondo Pandolfo Malatesta. Fece poi parte dell’eredità lasciata da suo figlio Roberto alla moglie Elisabetta da Montefeltro, che però riuscirà a entrarne in possesso solo dopo una lunghissima battaglia legale. Nel frattempo era stato anche dei Veneziani: nel 1504 il Provveditore Malipiero, nel censire le località riminesi appena prese in carico, così lo descrive: «Castello Liale dista uno miglio da quello di San Clemente e nove da Rimini. Ha le mura alte passa X (dieci passi: un passo veneto era poco più di 1,7 metri), cum una torre, volgi passa 130 (il perimetro delle mura era dunque circa 220 metri), cum fosse piccole. Dentro lì è una bona casa cum a levar (levante) altre casette che sono tutte del Signore». Questi è proprietario in quel luogo di 12 tornature di terra coltivate a vigneti ed ulivi, mentre si segnala che di grano se ne produce poco.
Come si legge nel sito del Comune di San Clemente, nel 1511 Papa Giulio II cedette il castello al Comune di Rimini ed alla fine del secolo le cronache attestano la costruzione della Parrocchiale del borgo che verrà poi restaurata all’inizio del XVII secolo. La chiesa addossata alle mura nasceva dalla trasformazione di una porta castellana a mare che parre al alcuni anteriore al XIV secolo, anche se nessun documento attesta l’esistenza di una precedente fortificazione.
Castellelale venne colpito una prima volta dal terremoto nel dicembre del 1786 e poi nel 1816, ma sarà il passaggio del fronte nel 1944 ad arrecare i danni più ingenti: crolleranno la torre del castello, parte delle mura e la copertura della Parrocchiale.
«Attualmente il pittoresco insediamento conserva ancora le eleganti porte quattrocentesche, di recente restaurate dall’Amministrazione comunale, resti delle mura e la dimora del vescovo Leale su cui è ancora visibile una lapide dedicatoria quattrocentesca in pietra d’Istria», descrive Pasini.