Il Battesimo di Nostro Signore Gesù Cristo è per la Chiesa una “festa mobile” (oltre che oggi facoltativa): cade la prima domenica dopo l’Epifania. Però, nella “forma straordinaria del rito romano” (una diversa forma del medesimo rito approvata dalla Chiesa) secondo il calendario di Giovanni XXIII, la “Commemorazione del Battesimo del Signore” ha luogo il 13 gennaio. E infatti lo stesso giorno Gianni Quondamatteo nel suo E’ luneri rumagnol annota “E’ batesum de Sgnurè” omaggiando la parlata della Romagna alta, quando nella sua Rimini avrebbe detto “E’ batesme de Signurein”.
I bambini di un tempo erano davvero “angeli”, purtroppo per loro. La mortalità infantile era talmente alta, soprattutto durante i primi anni di vita, che la loro presenza in famiglia era considerata incerta, provvisoria, con un piedino di qua e uno nell’altro mondo. Che potessero andare a raggiungere gli altri angeli da un momento all’altro, era una delle tante fra le ineluttabili pene da sopportare in questa valle di lacrime. Una pena cui si era rassegnati, come alle carestie e alle guerre, alle malattie e ai disastri del tempo: non c’era nulla che si potesse fare.
Colpisce quella che a noi pare indifferenza, con la quale per esempio il mercante riminese Nicola Giangi annotava ai primi dell’Ottocento sul diario la morte dei suoi figli: “Il tempo” scrive “s’è rimesso. All’ore 14 circa passò a miglior vita mio figlio Antonio”; oppure: “Questa sera, all’ora di notte, è morto il nostro puttino Antonio. Passò per qui per andar a Roma una dama polacca venuta con sei cavalli e un legno”. Se ne andarono in sette, un Antonio dietro l’altro , perchè era d’uso “rinnovare” i nomi dei bimbi non sopravvissuti, che a loro volta riprendevano quelli degli avi defunti. Ma il Giangi usa più parole per il glamour della nobildonna polacca e trova toni davvero commossi quando a morirgli è il suo canarino.
E comunque Giangi era un bottegaio benestante. Nelle famiglie povere i bambini che campavano, ma per cui non c’era da mangiare, venivano affittati alla Fiera dei Garzoni che si teneva il 25 marzo presso la Chiesa della Colonnella (la Madona di Figh, la Madonna dei Fichi).
Figli che del resto già il nostro dialetto (come in quelli di mezza Italia) associa agli animali da soma. Burdél – come nella bassa Romagna bastèrd e nelle campagne senesi e pistoiesi bordello – deriva da ‘bardotto’, l’incrocio di un cavallo con un’asina: “quasi muletto”, spiegava l’etimologo Ottorino Pianigiani. Allo stesso modo, i giovani triestini sono muli e mule.
A dispetto di tutto questo, nonostante privazioni e sofferenze indescrivibili, l’amore per i bambini era incontenibile. Ecco un elenco di nomignoli che venivano loro riservati, raccolti dal cesenate Giuseppe Gaspare Bagli sotto il titolo “L’amor materno nel dialetto romagnolo” (Bologna 1895):
e’ mi tabac, tabachin, tabacazz (Ravenna)
e’ mi basterd, bastardin, bastardaz (Massalombarda)
e’ mi babein, babinein, babinaz (Cesena)
e’ mi burdel, burdlin, burdlet, burdlaz (Rimini)
e’ mi pcin, pcinin, pcinaz (Valconca)
e’ mi pladin (se ha pochi capelli)
e’ mi zazzaron, rufon, cavlon (se ha i capelli lunghi o in disordine)
e’ mi ross, russett, rusaz (se è roseo)
e’ mi mezz, mizzon, sbiavdin, bianchin (se è pallido)
e’ mi zaplon (se ha le labbra carnose)
e’ mi pagnachin, pagnachetti, pagnacon, pagnacunaz (se ha le guance piene)
e’ mi gnaf, gnafin, gnafaz, schez, schizon (se ha il naso schiacciato)
e’ mi uccialon (se ha gli occhi grandi)
e’ mi butrigot, butrigon, baganin (se ha il pancino tondo)
e’ mi pisìn, sichìn, stilìn (se è gracile)
e’ mi suzzizon, zuzlon, tartaion, zanzigon (se balbetta)
e’ mi paciugh, paciughin, paciugon, paciuca-mariani, unzon, unzunaz, musarlon (se si unge le mani e il viso nel mangiare)
e’ mi piangulon, bucalon, vargnon, vargnaza (se piange sempre)
e’ mi misculin, zapulin, (se quando piange sporge il labbro inferiore)
e’ mi marguson, candlon, murganton (se ha il naso sporco)
e’ mi culandren, pataiulon, mantlaza, sbudled (se la camicia non vuole stare nei pantaloni)
e’ mi titon, titunaz (quando poppa)
e’ mi sbasucion (se bacia volentieri la mamma)
e’ mi boia, buiaza, gagliot, birichin, birichinaz, diavlaz, mazapegul (quando ha combinato la marachella)
Li chiamano poi anche
e’ mi bel fiol
e’ mi cor
e’ mi ben
e’ mi ciuzett
e’ mi anzulin
e’ mi stringon
e’ mi pisirlin
e’ mi bsarel
e’ mi martof
e’ mi cagalet
e’ mi pasarin
e’ mi patachin
e’ mi stronz
e’ mi plin
e’ mi covanid
Ed anche:
la mi zoia
la mi sperenza
la mi scudazena (piccolo e vivacissimo uccello)
la mi scurezza
la mi pulpetta
… e tanti, tanti altri che l’amor materno solo sa escogitare.
(nell’immagine in apertura, Il Battesimo di Cristo nel mosaico della cupola del Battistero degli Ariani a Ravenna)
https://archivio.chiamamicitta.it/13-gennaio-1511-grossa-multa-saludecio-voleva-staccarsi-da-rimini-andare-fano/