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12 febbraio – Eulalia Torricelli da Furlè

Il 12 febbraio la Chiesa cattolica commemora Sant’Eulalia patrona di Barcellona, una fanciulla che subì il martirio all’età di tredici anni sotto Diocleziano nel 303 d.C.

Il martirio di S. Eulalia

Secondo la tradizione, poiché rifiutava di rinnegare la sua fede cristiana, Eulalia fu sottoposta a 13 torture fra cui: essere chiusa in un barile pieno di chiodi e fatta rotolare in una strada identificata dalla tradizione con l’attuale Baixada de Santa Eulalia (“discesa di Sant’Eulalia”); il taglio dei seni; essere crocifissa su una croce a X. Alla fine fu decapitata. Il suo corpo fu sepolto originariamente a Santa Maria de Les Arenes, poi venne nascosto durante la conquista araba della Spagna nel 713 e ritrovato solo nel 878. Nel 1339 fu collocato in un sarcofago d’alabastro nella cripta della nuova Cattedrale di Sant’Eulalia. E’ patrona dei marinai catalani e invocata contro la siccità.

La cattedrale di S. Eulalia a Barcellona

Nonostante la sua importanza, non si può dire che dalle nostre parti il culto della martire catalana abbia avuto un gran seguito. Eppure quel nome a un certo punto è entrato a far parte della Romagna.

Accadde nell’Italia in macerie del 1947. Il paroliere “Nisa” (pseudonimo di Nicola Salerno) e i compositori Gino Reda e Dino Olivieri si incontrarono per inventarsi un motivo allegro che scacciasse i pensieri. Ne uscì un valzerino ben ballabile, con un testo zeppo di nonsense, gaio nonostante il tema: un improbabile suicidio per amore. Gli autori si permettevano anche di citare se stessi nei versi. Fu subito un successo travolgente, anche fuori dall’Italia. A cantarla per primo fu Gigi Beccaria, già noto prima della guerra per aver lanciato “Dove sta Zazà”. Nonostante il trionfo, Beccaria poco dopo si ritirò dalle scene per lanciarsi come imprenditore nell’industria dei cosmetici: stava arrivando il boom economico.

Nisa napoletano, Redi romano, Olivieri di Senigallia, Beccaria di Torino: Forlì entra nel testo, ovviamente, solo per ragioni di rima e grazie alla scarsezza nella lingua italiana di parole tronche, così utili nelle canzonette. Gli autori cercarono di spiegare poi che era balenato loro “il cittadone” romagnolo per via del suo territorio ricco di castelli.

Recita infatti il testo:

(I personaggi di questa canzone
ve li hanno inventati gli autor.
Se c’è attinenza con delle persone,
scusate gentili signor).

Qui si parla di una tale
che baciar una sera si fe’
da una guardia forestale
il cui nome è De Rossi Giosuè.

Voi non la conoscete,
ha gli occhi belli.
Chi?
Eulalia Torricelli di Forlì.

Voi non la conoscete,
ha tre castelli.
Chi?
Eulalia Torricelli di Forlì.

Un castello per mangiare,
un castello per dormire,
un castello per amare,
per amare De Rossi Giosuè.

Voi non la conoscete,
ha gli occhi belli.
Chi?
Eulalia Torricelli di Forlì.

Seconda parte, secondo programma.
Eulalia riposo non ha.
Dice a De Rossi: “Parliamone a mamma.”
Ma l’altro risponde:”Va là!”

Poi la cosa si ingarbuglia
si ingarbuglia e sapete perchè?
Con il treno che va in Puglia
è partito De Rossi Giosuè.

Vuole morire Eulalia Torricelli.
Uè!
E mangia i zolfanelli
di Giosuè.

Fa testamento
e lascia i tre castelli.
A chi?
A chi non ha castelli come me!

Un castello lo dà a Nisa.
Un castello lo dà a Redi.
Un castello, ma il più bello,
al maestro Olivieri lo dà.

Poi dolcemente chiude
gli occhi belli.
Chi?
Eulalia Torricelli di Forlì.

A proposito di “Eulalia Torricelli di Forlì” (in alcune versioni “da Forlì”) ha scritto Alberto Salerno, figlio di Nisa e, fra l’altro, marito di Mara Maionchi:

«Il brano esprime tutta la gioia che si poteva avvertire allora, a pochi anni dalla fine della guerra. Gli autori, Olivieri, Redi e mio padre Nisa (pseudonimo che usava per firmare i suoi testi), sicuramente si sono divertiti da matti a inventare questo pezzo, che se vogliamo è un antesignano del genere bislacco che poi avrebbero proposto Freak Antoni e Elio e le Storie Tese. La canzone ha avuto diversi interpreti, cosa che era di normale amministrazione allora, ma chi davvero la lanciò fu il Quartetto Cetra. La cosa più divertente di questa canzone, a parte il testo e la leggerezza affascinante della melodia, è un fatto davvero insolito al quale è legata. Accadde, infatti, che all’uscita del brano si scoprì che esistevano realmente due persone che vivevano in Romagna, e che si chiamavano proprio Eulalia Torricelli e De Rossi Giosuè, che per chi non conosce il testo della canzone, erano i protagonisti della storia. Mio padre, per evitare problemi legali, corse subito ai ripari scrivendo un prologo che Olivieri e Redi si affrettarono a musicare. Sembra incredibile, ma le cose sono proprio andate così».

La melodia sembrava fatta apposta per il liscio e infatti le orchestre romagnole se impadronirono subito, anche modificandone il ritmo in mazurka. L’Eulalia ad Furlè era ormai diventata una delle canzoni ufficiali della Romagna.

Ma la fortuna del motivo superò di gran lunga le mura delle balere. Oltre al Quartetto Cetra, tutti i più celebrati  cantanti dell’epoca la vollero eseguire, da Natalino Otto a Luciano Tajoli. Anche Claudio Villa la inserì nel repertorio (e in versione “liscio”, tentando anche qualche ammiccamento in uno pseudo-dialetto romagnolo).

Vi era affezionata poi Gabriella Ferri, sulla scia di “Dove sta Zazà” che era stata lanciata dallo stesso cantante di Eulalia:

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